Dal Mattino della domenica | Al via la seconda fase del progetto che vuole tracciare le linee guida per costruire il Ticino del futuro
Negli scorsi giorni ho presentato la visione del Cantone in materia di aggregazioni comunali. Sottolineo e ribadisco il termine “visione” che non ha nulla a che vedere con “imposizione”. Infatti, come ad esempio per il piano direttore cantonale, anche per quanto concerne l’organizzazione territoriale, il Governo ha definito quali sono gli obiettivi che intendiamo raggiungere in futuro. Un processo che va costruito con la collaborazione di tutti gli attori coinvolti, enti locali in primis. L’esempio della nuova Bellinzona ne è una conferma: un progetto aggregativo per avere successo deve avere una spinta dal basso. La voglia di stare insieme deve quindi venire dai protagonisti dell’aggregazione, e non deve essere calata d’alto. Con questo spirito, e tenendo presente le osservazioni che ci hanno fornito i diretti interessati nel corso dello scorso anno e durante la prima consultazione sul progetto che ha avuto luogo quattro anni fa, abbiamo formulato le nostre visioni.
E poi è chiaro, dobbiamo anche essere capaci di guardare avanti uscendo dalle logiche campanilistiche che spesso ci caratterizzano. Ho come l’impressione che alcune persone abbiano il timore che le aggregazioni comunali annullino la nostra identità e cancellino le nostre radici. Ma non è così: non vogliamo cancellare i nostri enti locali ma vogliamo renderli più forti e strutturati. I Comuni sono il motore dello sviluppo cantonale e il loro ruolo è essenziale. Ruolo che non potrebbero svolgere se restano ancorati alle dinamiche locali perdendo la loro forza e togliendo anche linfa vitale a tutto il Cantone. Pensiamo alle piccole realtà comunali nelle zone periferiche: spesso – come stava accadendo nella Valle Onsernone – mancano le persone, le risorse e le energie per potersi dedicare alla politica locale. Il rischio è di deperire e di non essere più la spinta energica per il livello superiore ma al contrario di creare l’effetto zavorra. E non è quello che vogliamo: il Cantone, per essere pronto ad affrontare le sfide future nei confronti della realtà federale e soprattutto nei rapporti transfrontalieri deve essere forte e ben strutturato. E la sua ossatura deve essere sana e resistente: per questo abbiamo bisogno che i nostri enti locali siano solidi, ma soprattutto che possano camminare sulle proprie gambe.
Ma facciamo un passo indietro. La prima fase dell’allestimento del progetto prevedeva la definizione dei futuri Comuni i cui nuovi confini costituiscono l’obiettivo cantonale (in alcuni casi già raggiunto), affinato anche grazie al prezioso contributo di molti attori del territorio nella procedura della prima consultazione, terminata nell’aprile 2014. I nuovi scenari comporranno dunque un territorio cantonale costituito da 27 enti locali, forti e autonomi, pronti a riprendersi alcune competenze che nel tempo erano scivolate nelle mani del Cantone.
Come comunicato lunedì in conferenza stampa, prende ora avvio la seconda fase del progetto che si focalizza sulla sua concretizzazione. Si tratta, da una parte, di definire le modalità di attuazione della riforma. Dall’altra, occorre prevedere importanti incentivi finanziari a sostegno delle riorganizzazioni amministrative dei nuovi Comuni e degli investimenti di sviluppo socio-economico.
Questi due aspetti sono sottoposti a un nuovo giro di consultazione fra Comuni, associazioni di Comuni e partiti politici rappresentati in Gran Consiglio, che avranno tempo fino a fine ottobre per dire la loro. Anche se la voce di alcuni sindaci si è già sentita pochi istanti dopo la presentazione del progetto ai media. Si aprono quindi nuovamente le porte del progetto – che lo ribadisco non vuole essere un’imposizione! – così da condividere e affinare aspetti centrali di una riforma molto importante per il nostro domani. Una volta raccolte le indicazioni, il Consiglio di Stato potrà adattare il progetto e allestire un messaggio affinché il Parlamento si pronunci sui contenuti del Piano cantonale delle aggregazioni.
Vogliamo davvero essere lungimiranti e pensare al Cantone di domani, per farlo ci serve una visione, consapevoli che senza Comuni forti non riusciremo a metterla in atto. Mi auguro che le autorità politiche di quei Comuni refrattari valutino la proposta nell’insieme, per il bene del Ticino. Le aggregazioni comunali sono un processo essenziale per una visione moderna del federalismo. La politica delle soluzioni e delle misure concrete passa anche da qua, attraverso l’aggiornamento e il potenziamento delle istituzioni più vicine a tutti i ticinesi: i Comuni.
Norman Gobbi,
Consigliere di Stato e Direttore del Dipartimento delle istituzioni