Da laRegione | Presentata la seconda versione del Piano cantonale, con scenari rivisti nel Luganese e nel Locarnese e un obiettivo di 27 Comuni – Sei anni per beneficiare di contributi per 75 milioni di franchi contributi, poi il fondo decadrà.
Scatta la consultazione-bis. Previsti incentivi finanziari. Gobbi: ‘Obiettivo? Stimolare i progetti che partono dalla base’.
Da 115 a 27. Sebbene rivisto leggermente al rialzo, in futuro il numero di Comuni in Ticino sarà drasticamente ridotto rispetto a oggi. Oggi che, un’aggregazione per volta, si è già ridotto di parecchio rispetto agli anni Novanta: dopo le ultime unioni (quelle di aprile, ergo Grande Bellinzona e Riviera) si contano 115 enti locali. Ma l’obiettivo del Consiglio di Stato rimane ambizioso: 27 comprensori, di cui 17 nel Sopraceneri e 10 nel Sottoceneri. Qualche piccola concessione, rispetto alle prime ipotesi sul tavolo, è già stata fatta: la visione aggregativa futura era stata posta in consultazione nel 2013, e contemplava 23 realtà e una seconda ipotesi, quasi futuristica, a 13. La prima consultazione avviata dal Dipartimento delle istituzioni, nonché gli incontri tra Cantone e comuni che ne sono seguiti, hanno condotto il Di a “concedere” qualcosa, soprattutto nel Luganese: anziché un unico comune attorno al polo di Lugano, nel rielaborato ‘Piano cantonale delle aggregazioni’ (questo il nome del documento ufficiale) restano separati Collina Nord (con Vezia, Cureglia, Comano, Cadempino, Lamone, Origlio e Ponte Capriasca senza Val Serdena), Collina Sud (Collina d’Oro e Muzzano) e MelideVico-Morcote. «Siamo comunque coscienti che non tutti i 27 scenari sono condivisi – commenta Norman Gobbi durante l’incontro con la stampa -. Per quanto concerne l’area urbana di Lugano, continuiamo a ritenere che i comuni della Corona nord debbano confluire in un’unica realtà, alla luce dello sviluppo della zona di Cornaredo». Trattasi di Massagno, Savosa, Porza e Canobbio. A «far discutere», come prevede ancora Gobbi, anche lo «scenario unico» per il Mendrisiotto e quello del Locarnese, «che è il comparto più in ritardo – osserva il direttore del Di -. Ricordo che sul piano del numero di abitanti Mendrisio tallona Locarno da vicino, e nel giro di un paio di anni avrà superato la Città. Quindi se Locarno non vuole perdere il suo ruolo deve attivarsi». Rispetto alla prima proposta il Cantone ha deciso di seguire gli input che nella regione si sono già concretizzati: Terre di Pedemonte potrà dunque rimanere tale, mentre Gordola e frazioni di Lavertezzo piano, Cugnasco-Gerra Piano e Gerre di sotto dovranno unirsi in un solo ente (“Piano”). Nel futuro comune del Locarnese confluiranno – a mente del governo – tutti gli altri: da Ascona a Tenero. Gli altri scenari restano praticamente confermati, anche perché per molti la situazione è quella attuale e laddove ci sono contestazioni il Piano cantonale prevede di tirare dritto (ad esempio Arbedo-Castione e Sant’Antonino nella Grande Bellinzona, Biasca quale polo della Riviera, la Bassa Leventina aggregata eccetera).
I DETTAGLI – Sei anni per beneficiare dei 75 milioni di contributi. Poi il fondo cade
«Il Cantone può spingere dall’alto, ma se vogliamo ottenere risultati più che onorevoli le aggregazioni vanno stimolate dalla base. Le imposizioni – assicura il capo delle Istituzioni Norman Gobbi – sono e rimarranno solo l’ultima ratio». È questa la filosofia che anima il Cantone, rafforzata dalla non tra- scurabile disponibilità a mettere sul piatto milioni di franchi utili a riorganizzare gli enti locali e promuovere al contempo progetti strategici nei nuovi comparti. Contributi pari a 75 milioni di franchi, che saranno a disposizione dei comuni per sei anni. «Sì, i comuni avranno sei anni di tempo dalla crescita in giudicato dell’approvazione del Gran Consiglio del Piano cantonale», precisa Elio Genazzi, capo della Sezione degli enti locali. «Questo è il principio, a cui si aggiungono altre regole» su cui comuni, partiti e associazioni sono ora invitati a pronunciarsi prendendo parte alla seconda consultazione sul progetto del Pca, il Piano cantonale delle aggregazioni (procedura che si chiude il 30 ottobre). Quindi, benché «non c’è un termine per l’attuazione del Piano», per dirla ancora con Genazzi, in verità i Comuni che intendono beneficiare del sostegno finanziario hanno sei anni di tempo per avanzare l’istanza. Poi il fondo a disposizione viene a cadere. Stando almeno alle intenzioni del Dipartimento, che ha comunque elaborato una serie di “soluzioni intermedie”o parziali per andare incontro a chi, quanto meno, manifesta l’intenzione di procedere secondo quanto stabilito dal Pca. Ad esempio, è pensabile dar seguito a progetti aggregativi che si discostano dal Pca ma che garantiscono comunque una continuità territoriale. O ancora, a scenari in cui è coinvolto il comune polo (Mergoscia con Locarno, per citare una possibilità). “Dovessero sussistere scenari incompiuti dopo la scadenza indicata (quella dei 6 anni, ndr), il Pca continuerà a rimanere in vigore – si legge nel documento in consultazione – ad eccezione delle misure relative agli aiuti finanziari”. Più avanti, il governo si dice “da sempre convinto che siano necessari incentivi concreti alle aggregazioni, affinché si dotino i comuni di risorse finanziarie sufficienti a riorganizzare il proprio funzionamento amministrativo, e a rilanciare il nuovo comune con la realizzazione di investimenti di sviluppo. Ovviamente – si precisa – i contributi devono rivelarsi coerenti con la visione strategica cantonale e con le riforme in corso, che esigono tempistiche realizzative ragionevoli”. In particolare, la riforma ‘Ticino 2020′, che si prefigge di riorganizzare in modo più funzionale i flussi di competenze (e finanziari) tra Cantone e Comuni.
(Articolo di Chiara Scapozza)