LA RIFORMA. La determinazione di un poker di deputate ha avuto la meglio in Gran Consiglio nel quale la maggioranza è saldamente nelle mani degli uomini. Con 56 sì, 13 no e 5 astensioni il plenum ha accolto la proposta di Amanda Rückert (Lega), Pelin Kandemir Bordoli (PS), Greta Gysin (Verdi) e Giovanna Viscardi (PLRT) che con un emendamento hanno fortemente voluto professionalizzare la figura del presidente delle Autorità regionali di protezione, ovvero delle tutorie. In futuro questi dovranno dedicare almeno un’occupazione dell’80% in questo delicato compito. È questa la principale modifica introdotta dal Parlamento al progetto del Governo di Legge sull’organizzazione e la procedura in materia di tutele e curatele che entrerà in vigore il prossimo 1. gennaio. La novità dell’ultimo minuto non è stata osteggiata dal direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, che ha però chiesto più tempo per adeguarsi: «Propongo di lasciare tempo al Governo fino al 1. luglio 2013 per passare alla professionalizzazione». Le quattro donne hanno così chiesto una breve interruzione della seduta per valutare la richieste e in seguito hanno detto sì a Gobbi.
La professionalizzazione è stato tema di scontro in aula, anche in casa PLRT tra Viscardi (favorevole) e Franco Celio (contrario). Celio ha affermato che «professionalizzare significa burocratizzare».
La riforma approvata ieri non è che la prima tappa di una riforma che si orienta verso una struttura di tipo giudiziario (mantenendo però le attuali 18 commissioni tutorie). Durante la prima fase il progetto prevede di modificare l’autorità di reclamo, passando dall’Ufficio di vigilanza sulle tutele al Tribunale di appello (con la creazione di una «Camera di protezione» e il potenziamento con un giudice). Nella seconda fase della riforma si prevede la costituzione, entro il 2018, del «Tribunale di famiglia», ma la sua messa in atto pratica non è stata ancora definita.