Intervista apparsa nell’edizione di venerdì 16 marzo 2018 del Corriere del Ticino
Misure antiviolenza negli stadi: il consigliere di Stato, le idee, gli striscioni e gli insulti
Per combattere la violenza negli stadi Norman Gobbi la sua ricetta l’aveva anticipata a gennaio a Piazza del Corriere. Ora spiega perché occorre verificare l’identità alle entrate degli stadi.
Allo stadio presentando il documento d’identità: a mali estremi, estremi rimedi?
«Direi un cambiamento necessario. Si tratta di una misura che ha dimostrato la sua efficacia laddove è stata proposta. Penso alla pista di Zugo, dove è stato implementato un dispositivo di prevenzione che prevede il controllo dell’identità ed è stato possibile ridurre sostanzialmente i problemi legati al tifo violento all’interno degli impianti sportivi. Tutti i tifosi ospiti sono obbligati a presentare un documento di legittimazione oltre al biglietto d’ingresso. Questo approccio ha certamente un maggiore effetto dissuasivo, considerato che la possibilità di restare impuniti è drasticamente più bassa che altrove. Nonostante l’attività di prevenzione e di sensibilizzazione svolta, ci sono ancora persone che si recano agli eventi sportivi disinteressandosi completamente del risultato, con l’unico obiettivo di creare disagio e sfidare i tifosi avversari e le forze dell’ordine. Sono una minoranza, ma da sole creano importanti danni d’immagine alle società sportive e soprattutto comportano ingenti costi di sicurezza privata e pubblica. Soldi che potrebbero essere investiti nel rafforzamento sportivo delle squadre e nello sviluppo dei settori giovanili».
Il Dipartimento ha già compiuto passi concreti per indicare la nuova rotta alle società sportive?
«Nelle ultime settimane ci sono stati dei contatti regolari con i club. Questa tematica va approfondita con i principali attori coinvolti: polizia cantonale, federazioni e club sportivi. Si tratta di trovare delle soluzioni condivise e praticabili a breve termine. L’obiettivo è quello di attivare queste misure già a partire dalla prossima stagione».
Qual è stata la risposta?
«I club si sono finora dimostrati piuttosto collaborativi perché stanno considerando seriamente il problema della violenza, anche al loro interno. E come detto, sono interessati a trovare una soluzione per ridurre i costi di sicurezza. Diventa sempre meno sostenibile una spesa di quasi mezzo milione di franchi per la sicurezza privata, senza la certezza di non più essere esposti a minacce. La volontà è stata dimostrata e gli incontri proseguiranno nelle prossime settimane».
E se qualcuno dovesse opporsi quale sarebbe la sua replica?
«La risposta è chiara. La situazione attuale non è più sostenibile perché non si può restare in balia di situazioni imprevedibili e dal potenziale devastante ad ogni partita. I fatti di gennaio hanno confermato che spesso non c’è relazione tra l’evento e quello che può succedere. È quindi difficile predisporre un dispositivo di sicurezza corretto. Inoltre, questa esposizione al rischio comporta la presenza di un numero sempre maggiore di agenti di polizia, con il pericolo di lasciare scoperti altri compiti sul territorio. La sicurezza totale non esiste ma il rischio potenziale deve essere ridotto».
A fare traboccare il vaso sono stati gli ormai noti fatti della Valascia, oppure questo passo lo avrebbe compiuto a prescindere?
«I fatti accaduti hanno probabilmente accelerato una riflessione e la ricerca di una soluzione che era già in atto da tempo. Sono ormai anni che con vari progetti il mio Dipartimento si impegna a monitorare gli eventi e a trovare delle soluzioni nell’interesse di tutti. Purtroppo la situazione non si è modificata nel modo che avremmo voluto, anche perché i cambiamenti nella società civile e l’evoluzione delle minacce non ci ha certamente agevolato».
Ma basterà per cancellare la violenza dagli stadi?
«Sono dell’opinione che la soluzione vada trovata con la collaborazione delle parti coinvolte. È l’atteggiamento che va modificato, altrimenti il problema persisterà. Penso ad esempio ad una maggiore collaborazione nel rispetto delle regole».
Lei è politico, ma anche padre di famiglia. I suoi figli li porta tranquillamente sugli spalti?
«Di principio sì. È tuttavia chiaro che i fatti di gennaio portano a fare alcune riflessioni. Pur trattandosi nel caso specifico di un episodio circoscritto, la possibilità di vivere simili scenari trattiene molte famiglie e ne limita la loro presenza alla Valascia. Una scelta che una volta di più danneggia i club, nel senso che non crea le premesse per una fidelizzazione dei tifosi di domani».
È noto che lei tifa Ambrì e ha anche un passato quale dirigente. A chi dice che la società tratta troppo spesso con i guanti di velluto il tifo organizzato perché teme reazioni negative come risponde?
«Il rapporto tra società e tifoseria non è mai scontato. Le due parti devono essere complementari e cercare assieme di valorizzare l’immagine e l’attività del Club. Riconosco che non è sempre semplice, anche perché a volte gli interessi divergono e le aspettative sono disattese e generano frustrazione. Per quanto mi riguarda, non ho le ho mai mandate a dire ed è per questo che spesso mi sono stati dedicati striscioni, scritte sui muri e via dicendo. Sono però convinto che l’unica strada sia questa per cercare di eliminare il tifo violento negli stadi».
In questi giorni è sotto tiro. Il portale ForumAlternativo ha scritto: «Gobbi ordina il blitz contro la tifoseria biancoblù». È una frase che la impressiona?
«No assolutamente. Ricordo che gli interventi di ieri sono stati ordinati dal Ministero pubblico». Oggettivamente i 13 ticinesi identificati (su 40 in totale) non sono pochi. Sta a significare che la violenza (in questo caso all’interno dello stadio) e spesso a margine dell’evento stesso, non è poi così un fenomeno di nicchia? Sull’arco di una stagione gli episodi critici sono un numero piuttosto contenuto. Il grado di pericolosità delle partite è gestito correttamente e in anticipo. È ovvio che il derby e la rivalità tra Ambrì e Lugano possono richiedere una maggiore attenzione, ma per il resto, a parte rare eccezioni, gli episodi restano circoscritti. La politica dei vari club di ridurre sempre di più gli spazi a disposizione delle tifoserie ospiti favorisce di per sé la diminuzione dei problemi. È chiaro che in presenza di fatti del genere esiste pure il rischio di emulazione».
Questo genere di sedicenti tifosi si attacca violentemente, ma poi i fronti contrapposti sono in grado di coalizzarsi per scontrarsi con le forze dell’ordine. È una perversione all’interno di un comportamento già di per sé perverso. Quale il suo giudizio?
«Effettivamente può succedere. Anche per questo motivo la Polizia in situazioni del genere deve predisporre le misure adeguate al fine di tutelare l’impiego degli agenti in servizio. Auspico che in futuro questi scenari non si verifichino più, proprio perché non si può mettere regolarmente a repentaglio la sicurezza delle forze dell’ordine».