L’opinione di Norman Gobbi sul voto che riguarda la Legge sulle armi
Passate le elezioni cantonali, si avvicina un appuntamento con le urne – la votazione federale del 19 maggio sulle modifiche alla Legge federale sulle armi – molto importante per la Svizzera. La posta in palio infatti è quella di garantire anche in futuro la possibilità di autodeterminarci in quanto Stato, evitando ingerenze provenienti dall’UE.
Su questa specifica votazione bisognerebbe capovolgere il ragionamento e chiederci: “Tenuto conto del nostro efficiente sistema di sicurezza, dell’elevato grado di controllo che abbiamo definito nel campo della vendita e possesso delle armi con la nostra legislazione e della grande tradizione (unica al mondo) che fa sì che ogni cittadini svizzero abbia una vicinanza particolare nei confronti di un’arma, fatta di rispetto, attenzione e sicurezza – perché così “educato” dal servizio militare obbligatorio – che bisogno abbiamo di accettare direttive imposte dall’Unione europea proprio in una materia in cui non abbiamo nulla da imparare da nessuno?” È questa la domanda che dobbiamo porci di fronte al diktat voluto dall’UE, accolto con una fretta quasi sospetta dal Consiglio federale e dalla maggioranza del Parlamento e che ci porterà giustamente a votare (benedetta democrazia diretta!) il prossimo 19 maggio sulla modifica della Legge federale sulle armi.
Questa imposizione che giunge dall’UE – che non migliorerà di una virgola la sicurezza contro il terrorismo – mina il rapporto di fiducia tra l’autorità federale, cantonale o comunale e il cittadino. Abbiamo costruito la prosperità e le fortune del nostro Paese soprattutto sulle libertà individuali. Con la scelta fatta dalla maggioranza del Parlamento si mette in discussione la buona fede di migliaia di cittadini nel loro essere tiratori, cacciatori o collezionisti di armi. Cittadini che si sono sempre comportati correttamente e che invece, se passerà questa modifica di legge, considereremo tutti potenzialmente “colpevoli”. È un approccio inverso rispetto a ciò che abbiamo sempre conosciuto, perché in Svizzera l’autorità ha sempre avuto e ha fiducia dei suoi cittadini, contrariamente a quello che fa l’Unione europea nei confronti dei cittadini di qualunque Stato.
La nostra legislazione in materia di armi è molto efficace. Consente all’autorità di sequestrare l’arma al possessore sprovvisto dei requisiti di legge, mediante l’emanazione di una decisione amministrativa subito esecutiva. Una persona perde i requisiti se dà motivo che possa esporre se stesso o gli altri a pericolo, oppure se è condannata per reati che denotano carattere violento o pericoloso, o per crimini o delitti commessi ripetutamente e iscritti nel casellario giudiziale. Non è necessario che i delitti siano in relazione alle Legge federale sulle armi: possono essere di qualsiasi natura. Tenuto conto che a eventuali ricorsi è tolto l’effetto sospensivo, la decisione di sequestro è immediatamente effettiva. Nella pratica succede che sono gli agenti di polizia a recarsi al domicilio della persona e a procedere al sequestro dell’arma. Le nuove norme servirebbero unicamente ad aumentare la burocrazia con il conseguente appesantimento del carico amministrativo per la nostra Polizia, senza peraltro alcun riscontro effettivo dal punto di vista pratico della sicurezza.
A comprova dell’efficacia della legge attuale bastano alcune cifre, riferite al Canton Ticino: il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata della Polizia cantonale tratta annualmente circa 2’200 casi. Nel 2018 sono state sequestrate 13 armi (17 nel 2017); non è stato concesso il permesso all’acquisto di un’arma in 17 casi (21 l’anno prima) ed è stato negato il dissequestro in 6 casi (7 nel 2017). Vi sono stati inoltre altri 7 casi, lo stesso numero dell’anno precedente, di conferma di sequestro.
Un’ultima considerazione, ma non per importanza: oggi chi sostiene le modifiche alla Legge imposte dall’UE ci dice che se non dovessero venir accettate usciremmo automaticamente dall’accordo Schengen. Si tratta della solita “clausola ghigliottina” (“se non accetti questo ti tolgo anche quello”). A parte il fatto che proprio una clausola del genere avrebbe dovuto sconsigliare di entrare in materia sui cambiamenti della nostra legge sulle armi, addirittura però al momento del voto nel 2005 su Schengen non ci era stato detto che la legislazione svizzera avrebbe dovuto essere aggiornata automaticamente rispetto ai cambiamenti che sarebbero intervenuti in ambito europeo in questo specifico ambito. Come si vede tutto l’approccio è sbagliato, non è per nulla svizzero e non tiene conto dell’alto livello di sicurezza raggiunto in Svizzera anche nel contrasto al terrorismo. Comunque: l’Europa ha tutto l’interesse che la Confederazione rimanga inserita nell’accordo Schengen, e soprattutto noi saremo in grado di restare agganciati alle misure che Schengen produce in ambito di controllo delle persone.
Il voto del 19 maggio ci dà la possibilità – se vogliamo davvero un Paese in grado di autodeterminarsi e di mantenere la propria libertà e indipendenza – di schierarci: votando NO alle modifiche della Legge federale sulle armi.