Dopo l’incontro del Consiglio di Stato ticinese con la CF Widmer-Schlumpf e il segretario di Stato De Watteville, in molti ticinesi si sono moltiplicati i dubbi sulla capacità della Confederazione nel trattare adeguatamente con la vicina Repubblica. A ragione.
In più occasioni ho avuto modo di spiegare e tentare di far comprendere ai nostri amici confederati che, per trattare con l’Italia e i suoi rappresentanti, ci vogliono attitudini che non sono quelli della diplomazia tradizionale. Infatti, ogni qualvolta un passo in avanti sempre essere compiuto, la matassa si ingarbuglia di nuovo. Lo abbiamo vissuto più volte, dal 2010 ad oggi, ossia da quando Svizzera e Italia han deciso di discutere sull’accordo di doppia imposizione. Ad ogni progresso nelle trattative, che portava ingenuamente i nostri negoziatori ad affermare che da lì a breve si sarebbe giunti alla firma del trattato, immancabilmente arrivava un imprevisto: caduta del governo, cambio dei negoziatori italiani, novità a livello internazionale o europeo, cambio di priorità sull’agenda politica italiana.
L’unica certezza è l’incertezza!
L’affidabilità dei negoziatori italiani è ormai un’incertezza, tanto quanto il reale interesse a voler trovare una soluzione condivisa con la Svizzera, in particolare che possa regolare il passato dei clienti italiani delle banche svizzere che hanno depositato i loro averi, in fuga dallo strozzinaggio di Stato dell’erario italico. Infatti, questo è di per sé l’unico reale interesse che i vari Tremonti, Monti, Saccomanni e ora Renzi hanno dichiarato come tale: ossia, incassare “la multa” per la regolarizzazione dei depositi nelle banche elvetiche. La discussione sta tutta sul montante di tale regolarizzazione, dove gli interessi tra Svizzera e Italia divergono.
Ma nelle discussioni tra i due Paesi, vi sono poi altri dossier. Tra questi quello sull’accordo relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine. Ho personalmente sottolineato, all’attenzione della Consigliera federale e del segretario di stato, come nel 1979 tale accordo venne fatto sulle spalle del Ticino che ne pagò l’applicazione retroattiva, rimborsando da solo i ristorni degli anni precedenti; uno scotto pagato sull’altare degli interessi nazionali elvetici, venne dichiarato.
Gli interessi nazionali e cantonali
Sempre invocando gli interessi nazionali, la delegazione giunta dalla Berna federale ha chiesto al Ticino di non bloccare i ristorni, poiché potrebbero complicare le trattative tra Italia e Svizzera. Il rischio è però alto che – proprio a tutela di questi interessi nazionali – il Ticino paghi nuovamente la fattura, vista la dichiarata non volontà di rescindere l’accordo sui frontalieri o di rivederlo in maniera totale. Val la pena quindi tenere pronta “l’arma” sul tavolo delle trattative, in difesa degli interessi cantonali ticinesi.
La Berna federale, però, dimentica come finora chi ha imbrogliato la matassa a scadenza regolare è stato l’inaffidabile partner italico, il quale continuamente cambiato gli attori o le carte in tavola; un ultimo esempio in tal senso è il decreto denominato “voluntarydisclosure” sui capitali detenuti illegalmente all’estero, il quale de facto ha bypassato le trattative in corso.
Tutto questo dimostra l’inadeguatezza dell’approccio elvetico nel trattare con il nostro vicino. Un vicino non nuovo ai cambi di fronte opportunistici, ai ritardi tecnici e ai mutamenti politici; tutta la storia italiana degli ultimi 100 anni ne è una palese dimostrazione. Ahinoi, la Berna federale non sembra ancora aver capito che per trattare con l’Italia si necessitano strumenti non in dotazione a chi oggi si sta occupando di questi dossier. Il Ticino ha la sua “arma” pronta a colpire nuovamente, e l’esperienza del 2011 pare non aver insegnato nulla alla strategia di relazione con la vicina Repubblica.
Allora, senza chiedercelo esplicitamente, ci invitano nuovamente ad usare la nostra “arma”, il blocco dei ristorni, quale mezzo di pressione politica sull’Italia. Unico vero atto che ha posto la Svizzera in posizione di comando nelle relazioni bilaterali.
Norman Gobbi