Intervista pubblicata nell’edizione di venerdì 25 maggio 2018 del Corriere del Ticino
Sono passati più di 3 anni dall’introduzione dell’obbligo di presentazione del casellario. Si può parlare ancora, come all’origine, di misura che crea tensioni?
«Direi proprio di no. Come ebbi a dire già nel 2015, nessun cittadino straniero si è mai opposto all’introduzione di questa misura, a dimostrazione del fatto che non era discriminatoria come tanti volevano e vogliono far credere. È stata introdotta unicamente come un’azione a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico in Ticino, i cui benefici ricadono anche sui cittadini stranieri che risiedono e lavorano onestamente sul nostro territorio. Una misura che nel corso degli anni ha trovato il consenso prima popolare e poi del Parlamento cantonale che ha promosso due iniziative a suo favore a livello federale. È innegabile che strumenti come il casellario ci permettono di ottenere informazioni complete sulle persone che intendono trasferirsi o lavorare in Ticino. D’altra parte non sono l’unico a battersi per il controllo dell’immigrazione, anche i cittadini ticinesi lo hanno più volte ribadito nelle votazioni popolari».
Chi critica il provvedimento parla di permessi negati alla luce di precedenti penali di scarsa rilevanza. È così o negli ultimi mesi avete individuato qualche caso più pericoloso di altri?
«Dalla sua introduzione la misura sul casellario ci ha permesso di negare il rilascio di un permesso a 201 persone che avevano commesso reati – anche molto gravi – nel proprio paese d’origine. Tra questi, abbiamo impedito l’entrata in Ticino di chi aveva commesso reati quali il sequestro di persona e rapina, o ancora a chi per più volte deteneva sostanze stupefacenti e le rivendeva ad altre persone. Condanne con una pena detentiva di oltre tre anni, come prevede la giurisprudenza in materia. Ma un dato che non va dimenticato è che tra questi casi risultavano anche persone condannate per crimini legati alla mafia».
Ancora di recente il Governo ha ribadito l’interesse nella firma dell’accordo fiscale con l’Italia. In caso di intesa, il casellario salta. Ma allora Gobbi da che parte sta?
«Ovviamente sto dalla parte del casellario che conferma anche in questi mesi la sua valida efficacia contro l’arrivo sul nostro territorio di persone indesiderate. Non l’avevo nascosto nemmeno lo scorso anno quando la maggioranza del Consiglio di Stato optò per favorire la firma dell’accordo sui frontalieri, impegnandosi – loro – a voler togliere questa misura al momento del formale accoglimento del trattato. Nel corso degli anni ho introdotto una serie di misure nel settore cantonale della migrazione allo scopo di garantire un maggior controllo sulle persone che intendono vivere o lavorare nel nostro Cantone. La richiesta sistematica del casellario giudiziale è una di queste: una misura a tutela dell’ordine pubblico. Se questa misura cadrà – per volontà dei colleghi di Governo – il Ticino non potrà più verificare i precedenti penali dei cittadini stranieri. È davvero un peccato, perché nel momento che a gran voce da più parti si chiedono misure più incisive per contrastare fenomeni come la criminalità organizzata, si dovrà – nostro malgrado – ritornare al regime dell’autocertificazione con tutti i limiti che questo comporta, visto che in passato persone con condanne nel proprio Paese avevano sottaciuto e quindi ottenuto il permesso di risiedere o lavorare sul nostro territorio. Senza casellario il lavoro di verifica aumenterebbe ulteriormente e il rischio aumenterà; insomma, più spesa e meno efficacia».
Sul tavolo del Governo c’è la richiesta di Claudio Zali di bloccare i ristorni. Un sì alla proposta non significherebbe utilizzare un metro differente rispetto a quello adottato con il casellario, il cui abbandono in prospettiva è stato pensato come gesto distensivo verso l’Italia?
«A dire il vero, con il collega Claudio Zali, mi sono opposto all’abolizione della misura sul casellario giudiziale, coerentemente con l’obiettivo della misura. Per quel che concerne il blocco dei ristorni, saremo ancora in prima fila a sostenerlo. Saranno invece i nostri colleghi di Governo a confrontarsi con gli umori contrastanti nei loro partiti, con il rischio di dover utilizzare un metro differente».