Una mia opionione pubblicata sul Mattino della Domenica del 26 marzo 2017
Il ministro leghista torna sulle illazioni formulate negli scorsi giorni sul caso Argo 1
“Norman Gobbi, ma lei cosa sapeva del caso Argo1?”, “Davvero ha taciuto informazioni sensibili per danneggiare il suo collega di Governo Beltraminelli?”. Domande che tante persone mi hanno posto negli scorsi giorni. Dubbi sorti dopo che un settimanale ha riportato una tesi complottista, degna di una produzione cinematografia di fantapolitica.
Certo, nel torbido si può anche pescare, ma si rischia pure di affogare. Soprattutto se lo si fa in maniera disordinata, come si sta facendo di questi tempi. Infatti, una cosa va ricordata: la Magistratura sta ancora portando avanti le sue inchieste penali e quindi non a tutti gli interrogativi può esser data risposta. Le illazioni formulate – a mio modo di vedere – hanno quale unica finalità quella di gettare fango sulle istituzioni. Questa settimana ho invitato tutti a prendere un po’ di distanza dagli eventi e analizzare tranquillamente i fatti, senza la foga da bagarre elettorale che non fa mai bene, soprattutto alle istituzioni. I contorni sempre più effimeri della vicenda creano le basi per il caos, nel quale appunto si può approfittare politicamente come cercano di fare taluni, ma nel quale si rischia anche di finir male.
Dobbiamo quindi fare ordine e chiarezza. Partiamo dalle due inchieste, una condotta dal Ministero pubblico della Confederazione e una da quello ticinese. La prima riguarda un presunto reclutatore dell’ISIS, che pertanto ha commesso reati ricollegabili al terrorismo. La seconda riguarda invece la società Argo1, per la quale il presunto reclutatore lavorava, e i cui responsabili sono indagati per i reati di usura e di sequestro di persona. L’unico collegamento tra le due indagini è il presunto reclutatore, nel suo ruolo di dipendente, che però non ha un ruolo nell’inchiesta cantonale. Di tutto ciò io cosa sapevo? Che sul nostro territorio si stava indagando su un possibile reclutatore. Senza avere informazioni di dettaglio, nulla di più.
Dobbiamo infatti comprendere come le inchieste di questo tipo, ossia di lotta al terrorismo e ai suoi sostenitori, siano soggette a un alto rischio di fallimento. Lo abbiamo visto ancora questa settimana, con la riduzione di pena a favore degli iracheni condannati lo scorso anno al Tribunale penale federale per attività a sostegno del terrorismo islamico radicale. Le informazioni sono altamente confidenziali e una fuga di notizia potrebbe minare mesi e mesi di lavoro degli inquirenti. Il semplice fatto che l’intelligence della Polizia cantonale abbia potuto allestire un dossier elaborato lungo mesi di verifiche preliminari, nell’attività cantonale dei servizi segreti per la protezione dello Stato, è sintomo di alta professionalità e di silente e integerrima attività a favore delle istituzioni.
Come accade in casi simili, le informazioni erano in mano a chi stava conducendo le indagini preliminari e non erano evidentemente di mia competenza. Le indagini di competenza del Ministero pubblico ticinese sono iniziate solo poco tempo prima che il caso divenisse di dominio pubblico e che il comandante della Polizia cantonale riferisse seduta stante al Governo. Ritengo opportuno precisare che sono a capo di un Dipartimento e membro di un esecutivo cantonale. E in Svizzera, fino a prova contraria, vige la separazione dei poteri. L’attività degli inquirenti, anche se di polizia, non è di mia responsabilità. Lavorano in piena autonomia e non rispondono al sottoscritto come tanti hanno insinuato di recente. Quindi una volta per tutte: no, Norman Gobbi non ha taciuto informazioni sensibili per fare un tiro mancino a Paolo Beltraminelli.
È facile trarre conclusioni quando non si conoscono – o si finge di non ricordare – i meccanismi che regolano lo Stato, del quale anche i parlamentari sono rappresentanti. Qualcuno mi ha anche chiesto se durante le sedute del Governo sono volati gli stracci tra me e il collega Beltraminelli. Quando si chiude la porta della sala del Consiglio di Stato, in effetti nessuno fuori sa cosa accade tra le mura di Palazzo delle Orsoline. Ed è normale per i cittadini porsi delle domande. Ma fa parte del gioco che il Governo non si presti a tentativi di rompere il suo collegiale funzionamento, anche se in molti amerebbero vedere volare stracci, siccome fa notizia e scandalo. Ricordiamoci che in momenti d’instabilità il Consiglio di Stato deve rimanere un punto di riferimento istituzionale, perché incaricato del buon funzionamento dell’Amministrazione cantonale e punto di contatto privilegiato tra cittadini e istituzioni. Lasciamo lavorare gli inquirenti, polizia e magistratura, e attendiamo le verifiche amministrative. Alla fine non ci saranno camion di sabbia, ma misure correttive e chiare responsabilità, che permetteranno di ristabilire la fiducia dei ticinesi. Senza dimenticare che i cittadini hanno il diritto di valutare con severità l’operato di noi politici, eletti dal Popolo.