Articolo apparso nell’edizione di mercoledì 7 febbraio 2018 del Corriere del Ticino
L’operazione «Stige» ha riportato sotto i riflettori i sospetti legami tra la ristorazione di casa nostra e la ’ndrangheta Suter: «Ci si chiede come certi locali riescano a sopravvivere» – Gobbi: «Ma chi parla di omertà è parte del problema»
Ai banconi e ai tavoli dei ristoranti ticinesi siede anche la mafia? L’interrogativo è tornato di stretta attualità, dopo che negli scorsi giorni il quotidiano «Le Temps» aveva riferito dell’operazione antimafia denominata «Stige» e – alla luce delle indagini condotte dalla Procura di Catanzaro – degli interessi della malavita anche per la ristorazione a sud delle Alpi. Con il titolo «l’ombra della mafia nei bar ticinesi» sullo sfondo, si parlava in effetti di un milione di bottiglie di vino vendute in Svizzera e in particolare a locali di Lugano e Chiasso. Locali, questi, che sarebbero legati a doppio filo alla cosca della ‘ndrangheta Farao-Marincola. E a riferirne, sabato sul Corriere del Ticino, era stato anche l’editoriale di Giovanni Mariconda. «Sono preoccupato come tutti, perché la consapevolezza che il fenomeno sia più ampio di quanto percepito c’è ed è reale» sottolinea da parte sua il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, da noi contattato. In tal senso, conferma il consigliere di Stato, «le antenne di polizia e magistratura restano alzate su tutto il territorio». Detto questo, trattandosi nella maggior parte di riciclaggio di denaro estero, «si dà soprattutto seguito a segnalazioni che, per competenza, spettano alla Confederazione e vanno quindi sottoposte a procedure più strutturate». Per Gobbi la questione va però affrontata «senza fare troppi allarmismi. Parliamo di anomalie e investimenti sospetti in qualche modo circoscrivibili e per i quali c’è un’attenzione accresciuta».
Pareri a confronto
A non usare tanti giri di parole è per contro il presidente di GastroTicino Massimo Suter. «Una certa preoccupazione – riconosce – non va celata. Così come non dobbiamo nasconderci dietro un dito, sapendo che la ristorazione o il commercio al dettaglio sono portati a essere presi di mira da loschi individui. E il perché è presto detto: in questi settori gira velocemente molto contante e non sempre in modo trasparente». Detto altrimenti, prosegue Suter, «la tentazione di sfruttare un ristorante per ripulire il denaro è presente e sarebbe da ipocriti negarlo. Certi articoli o indagini che menzionano il Ticino non mi fanno insomma sobbalzare più di tanto dalla sedia». Dato il contesto, stando al nostro interlocutore le scarse informazioni e la riservatezza su determinate operazioni sospette non devono a loro volta sorprendere. «Che tra il personale di bar e ristoranti regni una certa omertà lo trovo quasi logico, non essendo quella mafiosa la migliore delle compagnie con le quali avere a che fare» afferma Suter. Un atteggiamento, questo, che fa però storcere il naso a Gobbi, chiaro nel replicare a Suter: «Se qualcuno denuncia dell’omertà è parte del problema. E ciò poiché, in qualità di presidente di GastroTicino, dovrebbe essere in prima linea nel combattere determinati fenomeni. Come avvenuto ad esempio nel settore dell’edilizia servono un’assunzione di responsabilità e maggiore senso civico».
Campanelli d’allarme
Il presidente di GastroTicino torna invece sui possibili campanelli d’allarme. «Gli addetti ai lavori – spiega – sanno benissimo come funziona un’azienda nel ramo della ristorazione e di conseguenza quali sono i potenziali margini di guadagno». A fronte di determinate spese e di un’utenza circoscritta, rileva al proposito Suter, «ci si chiede in effetti come alcuni locali riescano a sopravvivere. E il collegamento con la malavita è una spiegazione che non viene esclusa da chi è pratico del mestiere e sa fare due calcoli. Far emergere delle prove concrete, ammette comunque Suter, «non è evidente. Anche perché “in dubio pro reo” e un sentore, per quanto ricorrente, non basta. Dal dubbio alla certezza il confine resta piuttosto ampio». L’appello di Suter a chi opera nella ristorazione è dunque quello «di mantenere gli occhi aperti» e di non esitare a denunciare fattispecie equivoche.
In questo quadro in Ticino l’occhio è puntato sul Sottoceneri, anche perché – rileva il presidente di GastroTicino – «la vocazione finanziaria della regione la espone maggiormente a situazioni di un certo genere». A questo si aggiungono poi le maglie forse troppo larghe della legge. «La facilità con la quale molte società, che si nascondono dietro l’anonimato, posso aprire un locale, fallire, e riaprire poche settimane più tardi è un meccanismo malsano che non aiuta. Un problema che la politca, forse più a livello federale che cantonale, dovrebbe affrontare al più presto. Questi individui, in effetti, non devono poter essere protetti in modo così vistoso. Anche perché a rimetterci alla fine è l’immagine del settore ma soprattutto l’anello debole della catena, ovvero i fornitori locali».