Pochi anni fa, il tema dei fallimenti pilotati era prepotentemente entrato nell’agenda politica cantonale grazie alla sistematica denuncia di Unia. Pur essendo ancora lontani dal Modello Zurigo, dei progressi per combatterli ci sono stati. L’abolizione dei circondari distrettuali e l’introduzione del perito all’Ufficio fallimenti hanno portato a una crescita delle denunce per reati riconducibili alla bancarotta fraudolenta. L’incognita è quale fine facciano le denunce nell’ingolfato Ministero Pubblico. Quest’ultimo, intervistato da area, si dice ottimista.
Eppur qualcosa si muove. Qualche anno fa, era il 2017, il sindacato aveva denunciato con forza l’inazione istituzionale alla lotta alla bancarotta fraudolenta, compiuta da impresari che volutamente svuotavano le casse delle ditte, le riempivano di debiti e lasciavano il conto finale di salari e oneri non versati ai lavoratori alla collettività tramite la procedura d’insolvenza. Nel giro di poco
tempo, riaprivano ditta con mezzi e personale identico come se nulla fosse.
Sulla necessità di contrastare il fenomeno in crescita erano tutti concordi, dal sindacato al padronato, alle forze politiche e giudiziarie in campo. Coscienti che il rischio zero non esista, perlomeno attenuare i danni con una lotta efficace di contrasto, che facesse da deterrente alla brutta piega presa del fenomeno, era l’auspicio formulato. A distanza di qualche anno, si può tentare di tracciare un bilancio.
Iniziamo con le cifre del fenomeno. L’importo totale andato perso nelle procedure fallimentari negli ultimi cinque anni in Ticino ammonta a 865 milioni di franchi, con una media annuale di 173 milioni. Rispetto al quinquennio precedente (2014-2018), sono una cinquantina di milioni in più della media annuale ticinese (124 milioni). Ad influire sulla crescita degli importi persi nei fallimenti, ha giocato sicuramente un ruolo la pandemia. Inoltre, va sempre specificato che non tutti i fallimenti sono dovuti a condotte illegali. Veniamo ai risultati ottenuti dalla lotta istituzionale contro i fallimenti detti fraudolenti o pilotati. «Nel 2015 il Cantone ha creato un circondario unico di esecuzione e fallimento, eliminando i vari uffici distrettuali» spiega Frida Andreotti, direttrice della Divisione Giustizia. «La precedente frammentazione veniva spesso sfruttata per scopi truffaldini. Non di rado alcuni debitori seriali, appena cambiato domicilio, si recavano all’Ufficio esecuzione del nuovo luogo di residenza richiedendo l’estratto esecutivo, che evidentemente risultava senza alcuna esecuzione. In tal modo riuscivano ad ottenere merci e prestazioni a credito senza saldare il dovuto, sulla base di una presunta e ostentata solvibilità che in realtà non hanno». La seconda misura introdotta è stata la creazione nel 2019 della figura del perito contabile all’interno dell’Ufficio fallimenti. Il suo compito è analizzare i casi di fallimento e, qualora ravvisasse qualcosa di penalmente rilevante, denunciarlo al Ministero pubblico. «Da quando è entrato in funzione il perito – spiega Andreotti – alla magistratura sono stati segnalati 184 incarti di possibili reati fallimentari, oltre il doppio rispetto a quanto avveniva in passato».
L’introduzione del perito risponde a un’esigenza voluta dalla Confederazione. Dal prossimo anno infatti, la legge federale imporrà agli uffici di fallimento cantonali l’obbligo di segnalare alla magistratura quei reati perseguibili d’ufficio constatati nella loro funzione. Il Ticino ha dunque introdotto una figura resa obbligatoria da Berna con cinque anni d’anticipo. E i risultati, almeno in termini di denunce dei casi sospetti, si sono visti. Avvocati esperti della materia ci confermano che dall’arrivo del perito e con la creazione di un unico circondario, dei progressi ci siano stati.
Ma le denunce son poi diventate condanne? Al quesito il Ministero pubblico non può rispondere, almeno in tempi brevi. Non disponendo di una statistica informatizzata dei reati, il Ministero pubblico impiegherebbe molto tempo nel rispondere, ci dicono da via Bossi. Ma ci concedono un colloquio con Andrea Gianini, uno degli otto procuratori che si occupano di reati finanziari. Nessuno si occupa principalmente di bancarotta fraudolenta. «Manca la massa critica» spiega Gianini, riferendosi al numero insufficiente di procuratori per creare una squadra specializzata. Il pensiero va al Canton Zurigo, dove l’autorità politica aveva deciso nel 2014 che, a fronte di un’esplosione dei casi di bancarotta fraudolenta, la lotta ai fallimenti abusivi fosse una priorità. Tutti i casi sospetti sono stati centralizzati verso un’unica Pretura a cui spetta un ruolo di coordinamento tra i vari uffici cantonali, è stato istituito un corpo specializzato di polizia sulla bancarotta fraudolenta e la Procura è stata rinforzata affinché ogni procuratore avesse un numero adeguato d’incarti da seguire. I risultati ottenuti sono stati definiti eccezionali, tanto che si parla di Modello Zurigo quale esempio. Torniamo in Ticino, dove notoriamente la Procura è in perenne affanno nel gestire la mole d’incarti. «Mediamente ci sono circa 280 incarti l’anno per procuratore dei reati finanziari, mentre circa seicento per i procuratori che si occupano dei casi di polizia. A Zurigo, chi si occupa di finanziaria ne ha circa una quarantina» spiega il procuratore Gianini. Piuttosto evidente la disparità di forze dei magistrati inquirenti tra i due Cantoni.
Se le denunce del perito dell’Ufficio fallimenti finiscono nell’imbuto della magistratura ingolfata, i progressi nell’azione di contrasto alla bancarotta fraudolenta sono da relativizzare? «Dei 34 casi segnalati dall’inizio dell’anno dal perito dell’Ufficio fallimenti, cinque sono stati evasi» spiega Gianini, aggiungendo di esser fiducioso che entro la fine dell’anno «circa un 40% sarà evaso». Secondo Gianini, le cose van più veloci perché i dossier preparati dal perito sono ben fatti e dunque resta poco da chiarire all’autorità inquirente. «Ci fossero più periti, i risultati della lotta contro le bancarotte fraudolente sarebbero ancor migliori». Stando al procuratore dunque, si nota un sensibile miglioramento nella lotta alla bancarotta perlomeno nelle denunce inoltrate dal perito dell’Ufficio fallimenti. Sussiste però un problema nello smaltimento delle “vecchie” denunce. Dal sindacato assicurano che diverse denunce relative a bancarotte fraudolente e seriali, giacciono nei cassetti della Procura da troppo tempo. A titolo d’esempio, si cita una denuncia inoltrata dal sindacato cinque anni fa a tutela di un proprio associato, vittima di titolari d’azienda con tre fallimenti seriali alle spalle con debiti complessivi che sfioravano i quattro milioni. Pur avendo il sindacato più volte sollecitato informazioni sullo stato dell’inchiesta, di risposte dal Ministero pubblico non ne sono arrivate. Nel frattempo, uno dei denunciati nel 2021 compare a registro di commercio quale direttore di una quarta azienda. In conclusione, seppur dei miglioramenti vi sono stati, la lotta ai fallimenti pilotati ticinese è ancora lontana dal Modello Zurigo, dove l’autorità politica ha fornito mezzi e risorse per lottare contro la bancarotta fraudolenta. La questione s’inserisce nelle difficoltà in cui si dibatte la Procura ticinese da molti anni, vedi decenni. Pesano in questo contesto le dichiarazioni del capodipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi, a commento della sonora bocciatura popolare della Cittadella della Giustizia per una spesa di ottanta milioni di franchi da lui fortemente voluta. «Per il popolo ticinese investire sulla giustizia non è la prima priorità.
A questo punto, le riforme nell’ambito della Giustizia dovranno essere a costo zero»
Articolo pubblicato su Area