Terremoto al DDPS, Gobbi: «È stato un fulmine a ciel sereno»

Terremoto al DDPS, Gobbi: «È stato un fulmine a ciel sereno»

Il consigliere di Stato, a capo delle Istituzioni, si è detto preoccupato in particolare per i servizi segreti: «Sono troppo fragili»

Il capo dell’esercito Thomas Süssli e il direttore del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) Christian Dussey hanno rassegnato le dimissioni. Sulla questione si è espresso anche Norman Gobbi ai microfoni di Radio Ticino.
La notizia per il Consigliere di Stato del Cantone Ticino è giunta come «un vero fulmine a ciel sereno». Dimissioni inaspettate, dunque, «un po’ come quelle presentate dalla capo Dipartimento – ha detto Gobbi -. La situazione generale non è delle più sicure. Malgrado la sicurezza percepita è ancora elevata, la Svizzera è comunque oggetto di attacchi in ambito di una guerra ibrida: dagli attacchi informatici, allo spionaggio che è molto attivo sul nostro territorio a elementi puntano a destabilizzare con disinformazione. Quindi queste tre partenze del capo Dipartimento della difesa, del capo dell’esercito e del Servizio delle attività informative della Confederazione è un segnale che non mi lascia tranquillo».

I segnali disseminati in questi giorni sono eclatanti: dallo scandalo Ruag, ai droni che volano sopra le caserme, infine le dimissioni in massa al DDPS. Un quadro non promettente. «Bisogna cambiare mentalità – ha detto il direttore del Dipartimento delle istituzioni -. Per il periodo instabile che stiamo vivendo, si deve lavorare mantenendo i piedi per terra, la testa alta e il casco in testa. Visti i colpi che girano, mi permetto di dire. Gli interessi che ci sono li abbiamo colti nel corso delle discussioni sulla pace in Ucraina. Gli Stati Uniti, nella figura del presidente Donald Trump, hanno mandato una chiara richiesta di rimborso di indennizzo per i danni di guerra causati, a fronte degli investimenti. Non dobbiamo pensare di vivere in un mondo utopico in cui tutti andiamo d’accordo».

Gobbi è preoccupato in particolare per la fragilità in cui versano i servizi segreti: «L’importante è dare stabilità. Fortunatamente le grandi organizzazioni sì, hanno bisogno di un capo, ma funzionano di per sé già da sole, grazie a una struttura organica consolidata. Faccio l’esempio anche da noi. Con la Polizia cantonale, il comandante Cochi ha assunto un ruolo intercantonale molto importante che lo porta spesso Oltregottardo. Grazie a una struttura interna molto solida, questa assenza non ha ripercussioni sull’organizzazione interna. Dunque, dal mio punto di vista, la partenza di Süssli non avrà impatto sull’Esercito svizzero e non cambierà visione strategica. Il ritorno della missione difesa come compito principale non verrà toccato, mancherà semmai l’uomo immagine. Süssli aveva la capacità di catturare molto bene l’attenzione. Quel che più mi preoccupa è la partenza di Dussey che evidentemente rende ancor più fragili i nostri servizi segreti, sono già di per sé deboli perché è l’ennesima riforma che stanno vivendo senza un capo, senza un chiaro indirizzo. Questo mi preoccupa proprio perché i servizi segreti sono le nostre orecchie, i nostri occhi per tutelare il paese, ma anche per fare il controspionaggio. Come dicevo prima, lo spionaggio di stati terzi in Svizzera è comunque molto attivo».

È possibile che il futuro capo dell’esercito arrivi dal Ticino? «Dipenderà dai profili richiesti e dalle valutazioni che faranno il futuro Capo dipartimento e il Consiglio federale. Ho partecipato alcuni anni fa a una commissione per la scelta del capo dell’esercito di quasi dieci anni fa. Bisogna essere in grado di reggere il colpo e in questo momento magari non tutti sono disposti a esporsi politicamente parlando. È una posizione molto esposta, alla pari di un consigliere federale. Non è un lavoro per tutti».

Da www.tio.ch