Articolo pubblicato nell’edizione di venerdì 1 febbraio 2019 del Corriere del Ticino
Il bilancio a 4 anni dall’introduzione del provvedimento che interessa gli stranieri con gravi precedenti penali
Gobbi: «Se cambiano i parametri dell’accordo fiscale, anche il Governo dovrà poter rivedere la sua decisione»
Tra l’aprile del 2015 e il dicembre dello scorso anno, in 251 occasioni le autorità cantonali hanno vietato l’entrata o la presenza sul proprio territorio a persone ritenute potenzialmente pericolose per la sicurezza interna o sprovviste dei requisiti necessari. Il filtro dell’estratto del casellario giudiziale, introdotto quasi quattro anni fa dal Dipartimento delle istituzioni, ha in tal senso consentito il mancato rilascio o la revoca di permessi di dimora B e per frontalieri G a stranieri con gravi condanne cresciute in giudicato. Qualche esempio? «Rapine in serie, omicidio, partecipazione a organizzazioni criminali, occultamento di cadavere» ricorda, da noi interpellato, il consigliere di Stato Norman Gobbi. «I nostri servizi – tiene comunque a precisare il direttore delle Istituzioni – non ponderano solo aspetti legati all’ordine pubblico. Vi sono altri due elementi. Da un lato è valutata la dipendenza del richiedente dall’aiuto sociale, che è un segnale di mancata partecipazione alla crescita economica e al benessere del nostro Paese. Dall’altro vengono considerati i debiti privati, anche qui per un discorso di diseconomia che non si vuole importare dall’estero». In media le decisioni di non rilascio o di revoca sono state 5,6 al mese, su un totale di 95.020 domande esaminate dall’Ufficio della migrazione e di 94.441 permessi elaborati. « La presenza di iscrizioni sui certificati penali presentati ha comportato maggiori approfondimenti per 579 domande (che rappresentano lo 0,6% del totale)» sottolinea in merito il Dipartimento. Per poi aggiungere: «Grazie alla misura, sono quindi emersi 579 casi che presentavano indicatori di rischio, la metà dei quali sono sfociati in una decisione negativa o nella revoca del permesso». Non solo. «Va rilevato positivamente – evidenziano le Istituzioni – che il numero dei casi per i quali si rende necessaria un’ulteriore analisi sta calando con costanza anno dopo anno: erano 216 nel 2016, 137 nel 2017 e sono stati 92 nel 2018. Segno evidente dell’effetto deterrente intrinseco a una misura che di fatto scoraggia chi sa di non avere un passato irreprensibile oppure di non disporre delle condizioni necessarie all’ottenimento del permesso».
Introdotto quale provvedimento straordinario dopo un grave fatto di cronaca che ha visto coinvolte alcune persone alle quali era stato rilasciato un permesso di dimora B sulla base di un’autocertificazione, in seguito rivelatasi falsa, l’obbligo del casellario è legato a doppio filo al nuovo accordo fiscale sui frontalieri. Dopo un primo sostegno nel maggio del 2016, il 7 giugno dell’anno seguente il Consiglio di Stato a maggioranza aveva infatti deciso di fare un parziale dietrofront per favorire l’intesa tra Svizzera e Italia. E ciò poiché la misura era ritenuta dalle parti «una pietra d’inciampo» sulla strada che avrebbe dovuto portare alla sottoscrizione dell’accordo. Da qui la decisione di abolire l’obbligo di presentazione del casellario giudiziale – e di tornare al sistema dell’autocertificazione – una volta che le firme dei due Paesi sarebbero state definitive. Con l’accordo finito nel congelatore, nulla è dunque cambiato nel frattempo. «È vero che l’intesa fiscale non sarà sottoscritta domani e nemmeno lo sarà nella forma in cui è stata parafata» rileva in merito Gobbi. «Ne consegue – conclude – che la misura rimane in vigore e sarà a sua volta rivalutata nel momento in cui l’accordo sarà rivisto. Perché se cambiano i parametri di riferimento deve poter cambiare anche la decisione del Governo».