Dal Corriere del Ticino del 15 aprile 2016 un’intervista a cura di Giovanni Galli
Per la Svizzera è uno scenario, per il Ticino una quasi certezza. Nei prossimi mesi è «altamente probabile» che si ripeta una situazione straordinaria sulla frontiera con l’Italia, «interessando in particolar modo il Cantone», ha detto Norman Gobbi ai colleghi direttori dei Dipartimenti di giustizia e polizia. E questo è motivo per nutrire «forti preoccupazioni». Gli arrivi di migranti attraverso il Mediterraneo in Sud Italia hanno fatto registrare una forte impennata nei primi tre mesi del 2016, passando da 11 mila (nello stesso periodo del 2015) a 18 mila. Nei primi 12 giorni di aprile gli arrivi sono stati 22.140, contro i 16.063 di 12 mesi prima, sull’arco di 30 giorni. Bellinzona dice di aver appreso con soddisfazione della decisione del Dipartimento della difesa di cambiare le date dei corsi di ripetizione di quattro battaglioni per eventualmente appoggiare le autorità civili. Ma apprezza anche che la Sezione della migrazione si sia detta disposta, in caso di emergenza, ad operare durante il fine settimana, periodo in cui a Chiasso si registrano per ora gli arrivi maggiori. Inoltre è stata condivisa la proposta ticinese di valutare scenari di intensificazione dei controlli alla frontiera sui migranti. Una lettera con queste richieste sarà inviata al Consiglio federale dalla Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia.
Lei esprime forte preoccupazione. A livello svizzero non sembra essercene?
«La situazione mi sembra sottovalutata. Per questo ho illustrato le informazioni di prima mano sugli arrivi di migranti raccolte in questi giorni a Roma».
Ma in Svizzera le domande sono diminuite nel primo trimestre. Come lo spiega?
«Queste domande sono inferiori agli ultimi tre mesi ma non allo stesso periodo del 2015. Si cerca di abbellire una situazione, che invece va presa seriamente. I colleghi degli altri Cantoni lo stanno già facendo. Questo non deve impedire di prendere in considerazione altre varianti per rendere meno attrattivo il Paese. Perché se il Ticino e la Svizzera rimangono l’unica porta aperta attorno all’Italia, qualche conseguenza ci sarà».
Nel complesso come giudica il piano?
«Il piano serve innanzitutto a gestire le competenze fra tutti gli attori coinvolti, dalla Confederazione ai Comuni. Resta certo qualche domanda aperta, ad esempio come gestire i migranti dal punto di vista dei trasporti dalla frontiera sud verso gli altri centri. C’è anche un problema di ordine finanziario: da parte di più Cantoni è stata evocata l’esplosione dei costi».
Ma la Svizzera è pronta o no ad affrontare un’emergenza? Questi piani l’anno scorso non c’erano.
«L’anno scorso eravamo pronti a gestire una situazione straordinaria, come quella vissuta tra maggio e giugno in Ticino e fra novembre e gennaio nella Svizzera orientale. Il piano discusso ieri invece fissa i parametri per gestire una situazione d’emergenza, quando le strutture ordinarie collassano velocemente: 10 mila domande d’asilo in 30 giorni, 10 mila al mese per tre mesi, 30 mila attraversamenti irregolari del confine in pochi giorni».
In concreto com’è la prontezza?
«Se siamo davvero pronti lo verificheremo solo in una reale emergenza. In Ticino la nostra pianificazione è molto avanti. Mentre molte delle domande critiche da noi sottoposte a Berna, dai trasporti alla gestione dei migranti, restano ancora aperte. Attendiamo una risposta».
Ci sono posti a sufficienza? Quelli nuovi come verranno creati?
«Abbiamo chiesto di portarli da 4.600 a 9 mila, per lo scenario peggiore. Questi posti verrebbero occupati solo brevemente, giusto il tempo per avviare la procedura. Poi i richiedenti verrebbero attribuiti ai Cantoni. La Confederazione ha promesso di non requisire i centri di Protezione civile e di lasciarli ai Cantoni. In via prioritaria si ricorrerà quindi ad infrastrutture militari. In questo momento però in Ticino abbiamo già tutte le caserme occupate».