Misure preventive di polizia: il capo del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi replica alle critiche mosse da alcuni ex procuratori pubblici e difende la legge in votazione il 13 giugno: «Si tratta di avere la possibilità di individuare i potenziali terroristi per scongiurare attacchi».
Le misure preventive di polizia sono contestate a livello giudiziario anche da ex procuratori pubblici di tutta la Svizzera, che hanno dato seguito ad un ricorso partito proprio dal Ticino. Che cosa ne pensa il «ministro» della Giustizia?
«C’è assoluta libertà per ognuno di attivarsi a sostegno o contro un tema posto in votazione e le opinioni servono al dibattito democratico, cioè portano argomenti che arricchiscono anche chi la pensa in modo diverso. Sono scettico invece sulle modalità che alcuni (pochi) ex procuratori pubblici hanno voluto scegliere. Dopo aver sostenuto il loro punto di vista sulla “sostanza” del tema in votazione, forse perché poveri di argomenti sono andati a toccare la “forma”, imbarcandosi in ricorsi e cavilli. Mi sembra un’inutile coda di coloro che hanno terminato gli argomenti ».
Sostengono che chiunque potrebbe essere considerato un potenziale terrorista e quindi trattato come tale.
«Con il loro atteggiamento penso personalmente che inducano la gente a sottovalutare il rischio legato al terrorismo. Ma le cittadine e i cittadini sanno bene quanto questo pericolo sia presente nella nostra società. Non si tratta di creare allarmismi inutili. Non si tratta di considerare tutti potenziali terroristi. Si tratta di avere la possibilità e le capacità di individuare gli effettivi potenziali terroristi, per scongiurare atti o attacchi terroristici. E questo solo dopo aver messo in campo già diversi strumenti previsti dalla legge. Non dobbiamo poi pensare solo al terrorismo di matrice islamista, ma pure agli estremismi di destra e di sinistra, con questi ultimi nettamente maggioritari. Nel 2019 il Servizio delle attività informative della Confederazione è venuto a conoscenza di 29 eventi nell’ambito dell’estremismo violento di destra e di ben 207 eventi in quello dell’estremismo violento di sinistra. Senza dimenticare gli ecoterroristi che proprio in Svizzera hanno sempre trovato terreno fertile ».
La cultura del sospetto al posto della presunzione di innocenza?
«Chi conosce le nostre istituzioni liberali sa benissimo che siamo ben distanti da una società costruita sulla cultura del sospetto. Lo spirito che anima questa legge, voluta dal Consiglio federale e da una larga maggioranza delle Camere, è lungi dal costruire questo tipo di cultura. C’è più cultura del sospetto in chi dice apertamente di non fidarsi delle donne e degli uomini che lavorano in polizia».
Secondo lei questa legge è sufficientemente garantista? O forse troppo, come sostiene l’ex pp Jacques Ducry?
«Il nostro ordinamento giuridico è fortemente orientato al garantismo. La legge MPT è sufficientemente garantista, anche trattando un fenomeno come il terrorismo con il quale non ci si può permettere di confrontarsi con le armi spuntate».
Che garanzie può dare invece che non ci saranno abusi?
«Le misure dalla MPT non possono essere ordinate in modo arbitrario. Secondo la legge, gli indizi contro le persone devono essere concreti e attuali. Si tratta di un metodo applicato già da tempo e pertanto esiste un’ampia prassi giudiziaria in merito. Le autorità sono tenute obbligatoriamente a rispettare tale prassi quando ordinano una misura. Anche le misure preventive di polizia sono oggetto di una ricca giurisprudenza del Tribunale federale. Per esempio, in relazione al Concordato contro il tifo violento, il Tribunale federale ha deciso che il divieto di accedere a un’area determinata o l’obbligo di presentarsi non violano né la Costituzione né la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Le polizie per prime difendono questa legge sulla base delle conoscenze dirette del fenomeno. In concreto, a livello cantonale significa che esistono già situazioni critiche per le quali ad oggi non si riesce a garantire la necessaria sorveglianza?
«Si presume che in Svizzera ci potrebbero essere alcune decine di casi all’anno, ma al momento è difficile dirlo. Sarà la prassi a mostrarlo. Sarà decisivo il modo in cui si evolverà la valutazione della minaccia rappresentata dal singolo individuo. Non parlo volutamente della situazione in Ticino, essendo la competenza della fedpol».
Ci può fare degli esempi concreti di che cosa si fa già adesso a livello cantonale contro la radicalizzazione?
«Dal 2018 il Consiglio di Stato ha creato una piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione alla quale ci si può rivolgere per segnalazioni anonime, gestite e analizzate da un gruppo di esperti. Inoltre vengono formati docenti e “attori chiave” sul riconoscimento precoce di segnali di radicalizzazione. Tra l’altro partirà proprio in autunno un modulo di formazione dedicato agli aspiranti agenti e a tutti gli agenti della Polizia cantonale, grazie al quale si intendono fornire gli strumenti per individuare questi segnali di radicalizzazione. Senza entrare nel dettaglio, la Polizia cantonale collabora con fedpol nel monitoraggio e nell’analisi di sospetti casi di radicalizzazione di matrice violenta ».
I fatti di Morges e Lugano avrebbero potuto essere sventati con questa legge? C’è chi ne dubita.
«Non avremo mai la prova del nove, ma si può sicuramente affermare che la legge MPT avrebbe offerto alle autorità maggiori possibilità per intervenire tempestivamente. Le misure previste permettono di controllare e seguire meglio le persone in questione, per esempio tramite l’obbligo di partecipare a colloqui pronunciato da fedpol».
Avverte sfiducia nella polizia da parte dei contrari?
«Vale forse la pena ricordare e sottolineare che in Svizzera la polizia è l’istituzione che gode del maggior gradimento tra la popolazione. Supera di gran lunga il potere politico e lo stesso potere giudiziario. Gli agenti sono quindi percepiti in maniera molto positiva. È quindi significativo che la gente comune si fidi degli agenti molto di più di quanto non facciano alcuni ex procuratori pubblici».
Intervista pubblicata nell’edizione di mercoledì 2 giugno 2021 del Corriere del Ticino