Onore agli uomini e alle donne ticinesi di allora
Esattamente una settimana fa, ovvero l’11 novembre, ricorreva il centenario dalla fine della Prima guerra mondiale in Ticino e in Svizzera. Ho avuto l’opportunità e l’onore di partecipare a Bellinzona a una commemorazione che non va letta come l’esaltazione di una vittoria o di prodezze militari, bensì come il ricordo solenne dei cittadini-soldato che prestarono i loro 500 giorni di servizio a favore della neutralità armata del nostro Paese e della protezione delle nostre frontiere.
La tensione, la lontananza e il disagio
I soldati svizzeri che abbiamo onorato a un secolo dal termine della cosiddetta “Grande Guerra”, non vissero le dilanianti esperienze delle trincee, della guerra di logoramento, dell’uso dei gas e delle “bombe mostarda”, oppure degli ordini mortali imposti per guadagnare solo pochi metri di terreno. Niente di tutto questo. In un contesto di costante tensione, fu la lontananza da casa il problema maggiore: in una società ancora in buona parte rurale e artigianale, che richiedeva dunque una marcata presenza di forza lavoro, l’assenza prolungata di uno o più membri della famiglia causava grandi disagi. L’impegno di questi uomini a protezione delle frontiere svizzere non fu certo immune da momenti di estrema tensione lungo il confine franco-tedesco: le due armate a nord duellavano alla conquista di pochi metri lungo le linee di difesa rispettivamente di attacco e, come fu per lo Stato neutrale del Belgio, un attacco attraverso la Svizzera per aggirare le linee fortificate non era escluso.
Il ruolo centrale della donna
Si trattò dunque di un giustificato impegno militare di uomini, ma anche di tante donne e di famiglie che – a casa – subirono l’assenza per quasi un anno e mezzo dei loro mariti e padri, senza che fosse prevista un’indennità di perdita di guadagno. La Prima guerra mondiale dimostrò, qualora ce ne fosse bisogno, il ruolo centrale della donna nella comunità. L’assenza degli uomini in servizio militare accentuò la loro funzione sociale, soprattutto alla testa della famiglia e delle aziende agricole. L’emancipazione completa era però ancora lontana, visto che dovettero passare quasi 50 anni per l’ottenimento del diritto di voto. A seguito della guerra economica tra le potenze belligeranti, vi furono periodi di malnutrizione, condizione che facilitò l’epidemia influenzale: la cosiddetta “spagnola” fece oltre 25’000 vittime.
Lo scontro sociale e il bisogno di “unire”
La “Grande Guerra” evidenziò la profonda spaccatura sociale tra ricchi e poveri, ma soprattutto tra città e campagna: nelle aree urbane le famiglie operaie patirono molto di più la malnutrizione e il rincaro delle derrate alimentari rispetto alle famiglie agricole nelle campagne, che disponevano di prodotti propri e poterono anche approfittare del rincaro interno. Questa spaccatura fu accentuata anche dai moti rivoluzionari durante la guerra, soprattutto da quella bolscevica in Russia che veniva vista con forte diffidenza dalla classe politica e dalle classi rurali. Seguirono periodi di confronto sociale, che portarono a scontri tra autorità e operai, con l’improprio utilizzo dei cittadini-soldato quale elemento di sicurezza interna. Ma furono momenti che indicarono chiaramente che si dovevano trovare soluzioni di carattere sociale e previdenziale e che, oltre alla conduzione della difesa bellica nell’ambito della neutralità armata, andava prevista anche una difesa spirituale che tenesse unito un Paese diviso in lingue, culture e ceti. Le autorità militari e politiche cantonali hanno quindi reso giustificato onore ai cittadini-soldato che durante la Prima guerra mondiale perirono durante il servizio attivo, rispettivamente agli uomini e alle donne che si impegnarono per tenere forte e unita la nostra comunità. La speranza di noi tutti è che simili accadimenti non abbiano mai più a ripetersi.