Intervista pubblicata nell’edizione di venerdì 14 settembre del Corriere del Ticino
Per il direttore delle Istituzioni è indispensabile fare squadra
Il problema del sovraffollamento delle carceri è annoso. Per cercare di risolverlo si sta valutando di convertire il carcere di Torricella-Taverne in una struttura per detenute. A che punto siamo?
«L’ipotesi sul tavolo è quella di adibire lo stabile di Torricella a un carcere femminile, ma solo per le pene di breve durata. Attualmente il Canton Ticino non dispone di una struttura per l’esecuzione della pena dedicata alle detenute donne e di conseguenza stiamo cercando una soluzione a breve termine. Per questo motivo sono stati avviati i contatti con il Comune di Torricella che ci ha confermato la propria disponibilità a dare vita al progetto. Una buona notizia che ci permette di avanzare con gli approfondimenti di carattere logistico e finanziario che dovrebbero giungere nel corso della primavera del prossimo anno».
Per ragioni di contenimento della spesa, da un progetto iniziale di 142 milioni di franchi per ristrutturare il carcere penale della Stampa si è però scesi a un budget di 35 milioni. Significa che sulla sicurezza si può tagliare?
«Assolutamente no. Per una ragione di contenimento dei costi e delle risorse a suo tempo proposi di rinunciare alla realizzazione di un nuovo stabile, optando per una ristrutturazione delle strutture esistenti. Il Governo si è impegnato per risanare le finanze cantonali, chiedendo un sacrificio anche ai cittadini, pertanto non ho ritenuto rispettoso nei loro confronti portare avanti il progetto di allora per la costruzione di un carcere ex novo».
Ma a che punto siamo con il progetto di ristrutturazione della Stampa?
«Abbiamo individuato tramite il direttore della struttura una serie di misure che intendiamo attuare nel breve termine e che consentiranno di gestire al meglio la popolazione carceraria. Nel lungo termine il Governo ha invece deciso di incaricare la Sezione della logistica di presentare una valutazione su ubicazioni alternative per l’edificazione di un nuovo stabile».
Di recente si è parlato dell’allontanamento dal territorio svizzero di una persona pericolosa e vicina agli ambienti terroristici. Il direttore delle strutture carcerarie ci ha confermato che il problema della radicalizzazione ha toccato anche il Ticino. Cosa può fare la politica per far fronte a queste situazioni?
«Per far fronte a questo genere di minaccia la miglior risposta che possiamo dare è collaborare: grazie allo scambio di informazioni possiamo infatti favorire il lavoro di intelligence tra le forze dell’ordine. Questo sul territorio. All’interno del carcere bisogna puntare, oltre che sull’attività di prevenzione, soprattutto su quella di formazione, perché gli agenti di custodia devono disporre degli strumenti utili all’identificazione del processo di radicalizzazione. La priorità infatti sta nell’individuare i segnali di una possibile radicalizzazione e non nella sua successiva gestione. In questo senso per acquisire le competenze necessarie è stata avviata una collaborazione proficua con la Facoltà di teologia dell’USI per la formazione del personale in tema di religione. Inoltre sono state proposte alcune giornate di approfondimento dal Centro svizzero per la formazione del personale penitenziario, incentrate sul tema della diversità e della cultura islamica».