Monitoraggio continuo del contesto sociopolitico
In tema di radicalizzazione, anche le carceri sono sempre più oggetto di attenzione dopo aver scoperto che diversi attentati all’estero sono stati commessi da persone radicalizzate o che avevano radicalizzato altri detenuti durante la detenzione. Fortunatamente, il Ticino e il resto della Svizzera sono toccati marginalmente dal processo di radicalizzazione nei penitenziari. Il rischio che la situazione possa aggravarsi esiste ed è legato a possibili cambiamenti nel contesto sociopolitico internazionale. Per questo motivo i miei servizi, nello specifico la Polizia cantonale in collaborazione con fedpol, è sempre vigile su quanto accade appena fuori i nostri confini e a livello internazionale.
Il regolamento cantonale delle strutture carcerarie predispone delle misure per il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza all’interno delle strutture. Norme che oggi definisco adeguate, a fronte di una percentuale di carcerati di fede musulmana che si aggira attorno al 5%. E’ però fondamentale farsi trovare pronti in caso di incremento della problematica. Insisto sull’attività di prevenzione e di formazione, perché gli agenti di custodia devono disporre degli strumenti utili all’identificazione del processo di radicalizzazione. La priorità infatti sta nell’individuare il reclutatore e non nella sua successiva gestione.
La capacità di riconoscere e anticipare il problema
Un primo segnale che può insospettire è il mutamento nelle abitudini di preghiera e la sua intensificazione a svantaggio di altre attività quotidiane. Anche la scelta di lasciar crescere la barba e la posa di tappeti per la preghiera nella stanza detentiva possono essere dei segnali da considerare. Il processo di radicalizzazione può inoltre essere confermato dal modo di proporsi di fronte ad avvenimenti criminali quali attentati terroristici e guerre. In ogni situazione, occorre sapere intercettare i tentativi di convincere altri detenuti a convertirsi all’Islam, spesso con la diffusione del Corano e di testi di propaganda. Nei collaboratori deve essere chiaro il confine tra il credo religioso e il perseguimento di obiettivi politici.
Nel caso dell’individuazione di un soggetto a rischio, sono previste diverse soluzioni logistiche e regimi separati, con una progressiva diminuzione della possibilità d’interazione con gli altri carcerati. Nei casi estremi si passa all’isolamento completo. La prossima realizzazione di quindici nuove celle di sicurezza consentirà di avere in quest’ambito maggiori soluzioni a disposizione.
Le formazione come misura di prevenzione
Le nostre priorità sono la prevenzione e il riconoscere celermente reclutatori e radicalizzati. Per acquisire queste competenze è stata instaurata una collaborazione con la Facoltà di Teologia dell’USI che sosterrà la formazione del personale in tema di religione. Sono inoltre state proposte delle giornate di approfondimento dal Centro svizzero per la formazione del personale penitenziario, incentrate sul tema della diversità e della cultura islamica. Le formazioni sono state valutate positivamente dal personale, al momento è comunque difficile valutare la reale efficacia delle competenze acquisite visto il fortunatamente limitato numero di casi.
Il lavoro svolto con il personale delle strutture carcerarie mi porta a dire che siamo in grado di gestire correttamente il problema della radicalizzazione all’interno delle strutture carcerarie. Il lavoro prosegue con il monitoraggio di tutte le realtà su scala mondiale che potrebbero favorire o velocizzare il processo. Ricordo che in autunno – come prima misura concreta – verrà messo online il portale web di prevenzione alla radicalizzazione realizzato dalla Piattaforma di lotta all’estremismo, promossa su iniziativa del mio Dipartimento. Più strumenti nell’interesse delle cittadine e dei cittadini ticinesi.