L’affare legato alla raccolta di dati e il controllo delle telecomunicazioni di milioni di cittadini di tutto il mondo da parte dell’agenzia statunitense NSA (National Security Agency) attraverso il programma di sorveglianza denominato PRISM ha evidenziato una questione sensibile e centrale nei rapporti Cittadino-Stato: il sottile equilibrio tra la garanzia della protezione della sfera privata e la tutela della sicurezza nazionale.
In uno stato di diritto fondato sui principi delle libertà fondamentali è giusto porsi l’ardua domanda a sapere quando un principio debba prevalere sull’altro. A volte rispondere a tale quesito può rivelarsi un dilemma. In questi casi il cittadino si interroga in che misura egli è disposto a difendere la propria sfera privata, quando ciò potrebbe comportare un grave rischio per la sicurezza; lo Stato, da parte sua, si vede confrontato con il complesso compito di ponderazione degli interessi in gioco per stabilire se la situazione è tale da giustificare una limitazione della garanzia costituzionale ai fini della sicurezza pubblica. Va da sé che il controllo delle comunicazioni e dei dati personali non deve avvenire in maniera indiscriminata nei confronti di tutti i cittadini, ma deve essere orientato unicamente verso coloro che costituiscono una seria minaccia per la sicurezza di un Paese nel rispetto dei principi della legalità e della proporzionalità. La riduzione indiscriminata della libertà personale di tutti i cittadini lederebbe infatti non solo uno dei principi cardini sui quali poggia uno stato di diritto, ma travalicherebbe la frontiera tra uno stato democratico ed uno totalitario.
Il cosiddetto “datagate” ha messo in chiara evidenza questo eterno dilemma basato sull’equilibrio tra sicurezza e privacy , in particolar modo nella società contemporanea fatta di comunicazioni in forma elettronica, opinioni e giudizi lasciati sui social media, di dati stoccati su server non localizzati o in “nuvole di dati”. Dati e comunicazioni cui – pare – i servizi di sicurezza nazionale statunitensi abbiano avuto accesso, anche fuori dalle proprie frontiere.
Il PRISM oltre a ledere il diritto fondamentale alla sfera privata dei singoli cittadini, mette a repentaglio le sovranità nazionali: è pertanto più che opportuno che a livello internazionale si rifletta sull’eventuale necessità di regolamentare questo tipo di attività attraverso la collaborazione di tutti i governi interessati per impedire situazioni di grave ingerenza da parte di Stati esteri che, attraverso la raccolta dissimulata di dati sensibili, si assicurano uno smisurato e incontrollato potere nei confronti di altre Nazioni. Si è dunque ben espresso il Presidente della Confederazione Ueli Maurer sulla possibilità di aprire un’inchiesta penale nei confronti della spia americana che ha operato a Ginevra, qualora dovessero venire alla luce indizi concreti di reati penali perseguibili in Svizzera.
Le attività di raccolta informazioni, per fini di sicurezza nazionale, non sono morte con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 o con la fine del blocco sovietico. Anzi. Oggi le attività di raccolta d’informazioni sono presenti più che mai, anche alle nostre latitudini come segnalano le varie istanze federali attive nella lotta a questi fenomeni. Il Ticino, per la vicinanza con la Penisola italiana, non è al riparo da possibili attività di spionaggio industriale e di sorveglianza non autorizzate ad opera di agenti pubblici o privati esteri. In passato si sono verificati episodi di questo genere: si rammenta la presenza di dubbie figure poi rivelatesi agenti italiani in borghese mandati sul nostro territorio per sorvegliare la piazza finanziaria ticinese oppure la controversa istallazione dei fiscovelox ai valichi doganali.
Partendo dal presupposto incontestato che le libertà fondamentali garantite dalla nostra Costituzione sono intangibili nella loro essenza, va comunque riconosciuto che, in casi eccezionali, di fronte a chiari interessi pubblici preponderanti esse possono venir proporzionalmente limitate dallo Stato.
Non possiamo infatti sottacere quanto evidenziato pure dai rapporti sulle minacce e i rischi editi dalla Polizia federale e dal Servizio informazioni della Confederazione, ossia che in Svizzera sono attivi gruppi con orientamenti estremisti le cui attività costituiscono una minaccia per i cittadini e lo Stato. È quindi un bene poter monitorare nell’interesse collettivo questi movimenti affinché potenziali pericoli e minacce vengano identificati anticipatamente, in modo da evitare conseguenze difficilmente tollerabili in termini di vite umane, di danni tecnologici ed economici, che possono addirittura mettere a repentaglio la stabilità del Paese.
Anche in Svizzera esempi in tal senso non mancano: dai processi contro gli eco-terroristi, alla bomba contro i centri di competenza nucleare ad Olten, alle incursioni contro il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli – ospite ad una conferenza a Lugano – che si occupa delle procedure penali contro i gruppi violenti dei “no TAV”, senza dimenticare le formazione di estremisti ideologici pronti alla violenza.
La complessità della questione e il conflitto d’interessi tra le diverse libertà fondamentali non permettono di giungere ad una risposta generale ed uniforme al dilemma sull’equilibrio tra la garanzia della sfera privata e sicurezza. In ogni caso mi sento di poter concludere che è un dovere dello Stato mettere in atto tutte le misure consentite dalla legge per preservare la comunità da minacce che ne possano minare la stabilità economica e istituzionale e l’unione politica e sociale. Per poter continuare a vivere, in Svizzera, in libertà e sicurezza.
Norman Gobbi, Consigliere di Stato e Direttore Dipartimento delle istituzioni