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Il TF ha confermato l’espulsione una 33enne italiana secondo cui vi era “un conflitto d’interessi per il direttore del DI”
Il Tribunale federale ha confermato l’espulsione di una 33enne italiana decisa nel febbraio del 2015 dalla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni (DI). La donna – cittadina italiana nata in Svizzera, dove è in parte cresciuta prima di trasferirsi in Italia – nel maggio del 2014 aveva ottenuto un permesso di dimora della validità di 5 anni per esercitare un’attività lucrativa dipendente in qualità di addetta alla reception presso un esercizio pubblico, in seguito fallito senza averle mai pagato lo stipendio. Essendo priva di entrate finanziarie e non avendo maturato un diritto all’indennità di disoccupazione, a partire da settembre 2014 aveva dovuto far capo all’assistenza pubblica.
La 33enne era in seguito tornata a vivere in Italia e, il 16 dicembre dello stesso anno, l’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento (USSI) le aveva comunicato di non poter entrare nel merito della sua richiesta di rinnovo delle prestazioni assistenziali in quanto il Servizio regionale degli stranieri aveva notificato la sua partenza per l’Italia. La Sezione della popolazione del DI le aveva di conseguenza revocato il permesso di dimora, decisione inutilmente impugnata su ricorso sia davanti al Consiglio di Stato sia davanti al Tribunale cantonale amministrativo (TRAM).
La donna si era così rivolta al Tribunale federale per contestare la sentenza della Corte cantonale datata 9 gennaio 2017, ma anche in questo caso senza successo. “La ricorrente – si legge nella sentenza del 12 giugno scorso – ha inoltrato una memoria di 50 fitte pagine, composte da lunghi paragrafi organizzati in una progressione di cui solo raramente è possibile individuare una logica, ad esempio in funzione della struttura della sentenza impugnata o di un altro criterio oggettivo”. In particolare la donna aveva contestato le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici cantonali “in relazione ad un asserito conflitto di interessi in cui si sarebbe trovato l’on. Norman Gobbi al momento di validare una decisione in materia di rilascio di permessi di soggiorno a cittadini stranieri”, nella sua veste di Presidente del Consiglio di Stato e responsabile del Dipartimento delle istituzioni e nel contempo “membro di un partito che promuove una politica restrittiva in materia di immigrazione”.
I Giudici di Mon Repos hanno tuttavia respinto al mittente questa tesi e ha confermato in quanto giustificata e proporzionata la revoca del permesso B poiché “alla ricorrente non poteva essere riconosciuto lo statuto di lavoratrice” in quanto “la sua attività è stata talmente ridotta da poterla ritenere di mero carattere marginale” mentre “la sua inattività professionale si protraeva da oltre due anni durante i quali ella non ha dimostrato di avere una prospettiva reale di impiego”. La Corte federale ha cioè concluso che “la ricorrente ha ampiamente superato il periodo ragionevole di sei mesi durante il quale i cittadini di uno Stato UE, al termine di un impiego di durata inferiore a un anno, hanno il diritto di rimanere in Svizzera per cercarsi un nuovo lavoro corrispondente alle loro qualifiche professionali e prendere, all’occorrenza, le misure necessarie per essere assunti”.