C’è preoccupazione in Ticino: il rischio è di non poter più garantire tutti i servizi di pubblica utilità e gli interventi d’urgenza – Il punto
In Ticino, nel 2025, mancheranno 2’000 militi della protezione civile (il 40%), mentre oggi il cantone può contare su 4’500 militi. Nell’ultimo decennio il numero delle nuove incorporazioni è diminuito da 350 a circa 200 all’anno. Un problema che si farà più pressante tra 3 anni.
C’è preoccupazione, anche se il calo prosegue da anni. Il rischio è di non poter più garantire tutti i servizi di pubblica utilità e gli interventi d’urgenza. Per questo si guarda con interesse alle discussioni a livello federale sul raggruppamento di protezione e servizio civile.
Intanto il Ticino ha già cercato di tamponare il “buco”, posticipando la nuova legge che diminuisce da 20 a 12 gli anni di servizio.
E’ da una decina d’anni che la protezione civile è sempre più magra. La colpa è del calo demografico, ma anche di un esercito che recluta il 10% di soldati in più. I compiti, invece, non sono cambiati: dai lavori di ripristino dopo una frana ai corsi di ripetizione, fino alla gestione dei centri anti-Covid o dei flussi migratori. La protezione civile è impegnata anche a Vacallo, dove al pari di Stabio, vengono accolti, solo la notte, quei migranti che non chiedono asilo e sono quindi in procedura sistematica di riammissione in Italia.
Non ci sono molte strade per far fronte al calo degli effettivi, una è quella di aumentare i giorni di servizio. “È una lama a doppio taglio – spiega Ryan Pedevilla, sostituto e aggiunto capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione – perché comporta la riduzione del tempo d’impiego dei militi che dopo 245 giorni non sarebbero più impiegabili”. L’alternativa sarebbe quella di rinunciare ad alcune prestazioni, delegandole ad altri.
A Berna si sta invece discutendo della terza via: il raggruppamento sotto un’unica unità organizzativa della PCI e del servizio civile. “Solo quando i militi sono preparati si riesce ad essere efficaci”, sottolinea Pedevilla. Detto altrimenti, i civilisti – che hanno detto di no per scelta al servizio militare – andrebbero però istruiti ed equipaggiati.
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Protezione civile a corto di militi
La mancanza di uomini preoccupa anche il Ticino – Le nuove leve sono 200 all’anno, troppo poche per garantire le prestazioni Ryan Pedevilla: «Per non ridurre le attività si potrebbe attingere dal bacino del servizio civile» – Ma la scelta dovrebbe spettare ai Cantoni
«Di qui a due anni potremmo rimanere senza il 40% degli effettivi. Il che significherebbe dover ridurre il catalogo delle prestazioni della Protezione civile. La campagna vaccinale? La presa a carico dei profughi ucraini? I flussi migratori? Certamente non potremmo più portare avanti, parallelamente, attività così complesse e durature ». Lo dice chiaramente, il capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione Ryan Pedevilla: la mancanza di militi è una realtà che preoccupa, anche in Ticino. «E occorre trovare una soluzione in tempi rapidi se non vogliamo tagliare i servizi offerti».
La modifica della legge
La questione è stata sollevata anche lunedì scorso dalla Commissione per la sicurezza del Consiglio nazionale che ha approvato una mozione (di cui è promotore e relatore il consigliere nazionale Rocco Cattaneo, PLR) che chiede di unire la Protezione civile e il servizio civile in un’unica unità organizzativa, sostenendo che «sia necessario un intervento immediato», visti i problemi di effettivi nella PCi. Ma come si è arrivati a questo punto? «Innanzitutto – spiega Pedevilla la revisione della legge federale sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC) ha modificato un elemento centrale. Prima, infatti, il servizio durava fino a 40 anni, ora, invece, sono previsti 12 anni dal momento in cui viene conclusa l’istruzione di base (la scuola reclute per gli astretti al servizio di PCi)». Di fatto, quindi, significa una riduzione degli anni in cui presteranno servizio i militi sino al grado di sottoufficiale. «Fatti due conti, questo toglie il 40% degli effettivi. Una riduzione che sul Ticino peserebbe molto», evidenzia Pedevilla.
Il caso ticinese
Quando è entrata in vigore la nuova legge, nel gennaio del 2021, eravamo in piena pandemia ed era in corso la campagna di vaccinazione. «Il contributo della PCi, sia nel supporto delle strutture sanitarie sia nell’organizzazione del dispositivo per la vaccinazione, è stato fondamentale. Privarci del 40% degli effettivi in un momento così delicato avrebbe significato mettere in crisi le prestazioni a favore della popolazione ». Di qui, la mossa del Consiglio di Stato, che ha chiesto di far valere l’articolo 99 della Legge federale, che consente ai Cantoni di ottenere un periodo transitorio, fino al 31 dicembre del 2024. «Di conseguenza, nel nostro cantone rimarrà in vigore il ‘‘vecchio’’ regime ancora per due anni». Il vero problema, per il Ticino, si porrà quindi dal 2025. «Può sembrare parecchio tempo, sì, ma in ottica di una programmazione, il 2025 per noi è praticamente domani». Altri cantoni, invece, hanno deciso diversamente. «Alcuni perché non hanno dispiegato la PCi durante la pandemia, altri – come Zurigo – perché hanno un numero di militi sufficiente per far fronte alle attività delegate a questo importante partner della protezione della popolazione». Militi che, invece, il Ticino fatica a reclutare. «Da noi i militi della PCi sono circa 4.500 e le nuove leve sono attorno alle 200 unità». Troppo poche. «Per garantire continuità ne servirebbero almeno 300-350 all’anno». E proprio qui sta il nocciolo della questione: il numero di nuove leve è in costante calo. Perché? «Una delle possibili spiegazioni è che negli ultimi anni il reclutamento avviene in modo sempre più accurato e differenziato e questo permette l’incorporazione di un numero maggiore di militi a favore del servizio militare», risponde Pedevilla. In sostanza, un 10% degli effettivi che prima finiva nella PCi ora viene comunque reclutato nell’esercito. «In più, vi sono leggere oscillazioni negli anni sul numero di giovani dichiarati inabili dal profilo sanitario a prestare servizio anche in Protezione civile». In tutti i casi, specifica Pedevilla, «non è il servizio civile a ‘‘rubare’’ effettivi alla Protezione civile». I due settori, insomma, non sono affatto in concorrenza tra loro. «Infatti bisogna ricordare che viene impiegato in Protezione civile solo chi non è abile al servizio militare, mentre chi intende fare il servizio civile deve essere abile al servizio militare».
Una possibile soluzione
Ma cosa si può fare per invertire la rotta? Sul tavolo, spiega il capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione, una proposta ci sarebbe. «Si vorrebbe permettere, ai Cantoni che hanno un concreto e comprovato bisogno, di attingere per la PCi dal bacino dei civilisti. Questo non significherebbe negare la possibilità di fare il servizio civile, semplicemente ai ragazzi verrebbe impartita un’istruzione di base di 17 giorni e dovrebbero garantire, parallelamente al servizio civile, un certo numero di giorni di servizio nella PCi». Lasciare libertà di scelta ai Cantoni, secondo Pedevilla, è fondamentale: «Formare un milite ha un costo, di conseguenza i Cantoni che non ne hanno bisogno potrebbero non doversi rivolgere al servizio civile. Per contro, i Cantoni che sono a corto di effettivi, come il Ticino, potrebbero garantirsi un rinforzo». Sul breve periodo, però, il problema rimane. E le strade non sono molte. «Potremmo aumentare i giorni di servizio per garantire i picchetti. D’altro canto, però, questo non permetterebbe di risolvere il problema, perché i militi terminerebbero i 245 giorni di servizio con largo anticipo. Oppure si dovrebbe far capo ai concordati intercantonali o richiedere puntualmente il supporto, senza la garanzia, tuttavia, di ricevere una risposta positiva. Oppure, e questa è l’estrema ratio, dovremo rassegnarci a ridurre le apprezzate attività che la Protezione civile svolge sul territorio a favore della popolazione».
Articolo pubblicato nell’edizione di lunedì 7 novembre 2022 del Corriere del Ticino