Opinione pubblicata nell’edizione di mercoledì 31 ottobre del Corriere del Ticino
Lunedì il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) attraverso il proprio profilo Twitter ha preso ufficialmente posizione sui motivi e le giustificazioni – ormai fatte proprie anche dal Consiglio federale – per cui bisogna sottoscrivere e sostenere il Patto globale sulla migrazione delle Nazioni Unite. I sostenitori del trattato lo definiscono puramente declamatorio e non vincolante, ma in verità si tratta di un prodotto inizializzato dall’ambasciatore svizzero all’ONU Jürg Lauber e che – nonostante le dichiarazioni critiche anche da chi l’ha sottoscritto – è comunque un atto formale, al quale – more solito – la Svizzera si dovrà attenere. Quindi non declamatorio ma vincolante per noi, senza che il Parlamento federale e il Popolo svizzero possano esprimersi a riguardo.
Ma torniamo al perché questo patto è comunque problematico per la Svizzera. Anzitutto, a far storcere il naso sono le numerose giustificazioni degli addetti ai lavori sulla volontà del Consiglio federale di sottoscrivere una serie di misure che vengono definite come «impegni concordati dagli Stati membri nella Dichiarazione di New York per rifugiati e migranti». Se si tratta solo di impegni concordati non giuridicamente vincolanti è legittimo chiedersi perché lo si debba sottoscrivere, ritenuto come – per stessa ammissione del DFAE e del Governo federale – buona parte degli impegni sono già attuati o previsti dalla legislazione elvetica. Pensiamo al semplice fatto che, nell’ambito della crisi migratoria del 2015 – i cui effetti si ripercuotono ancora ai giorni nostri – la Svizzera si sia subito allineata ai dettami della Commissione europea e della cancelliera tedesca Angela Merkel, accogliendo sia migranti economici come pure un’importante numero di «resettlement» mentre altri Stati membri dell’Unione europea hanno sin dall’inizio respinto questo diktat centralista.
Ma su alcuni punti il Dipartimento e il Consiglio federale difettano nella consecutio temporis, poiché se da un lato gli stessi sono animati dall’indefesso adempimento degli «impegni internazionali» inizializzati nel 2016, dall’altra dimenticano come recentemente la Svizzera abbia rivisto il diritto federale in materia di stranieri restringendo il diritto al ricongiungimento, oggi vera fonte di preoccupazione dal momento che rappresenta il primo motivo di arrivo nella Confederazione da parte di cittadini stranieri di Stati terzi (in maggioranza da Africa e Asia occidentale). Il patto dell’ONU prevede invece in questo specifico settore un alleggerimento delle procedure per ricongiungere le persone, che risulta essere palesemente in contrasto con la volontà espressa nel diritto interno svizzero.
A ben vedere questo Global compact for safe, orderly and regular migration dell’ONU è una sorta di grimaldello svincolato dal controllo popolare e parlamentare nelle mani del Consiglio federale, che porterà – a furia di sottoscrivere «impegni internazionali giuridicamente non vincolanti» – a rendere impossibile la gestione controllata dei flussi migratori e quindi a spogliare gli Stati della loro sovranità in materia di politica migratoria. Questa vicenda la dice lunga su come il Governo federale non voglia attenersi alle decisioni popolari e voglia al contrario inchinarsi agli «impegni internazionali». Quindi, per opporsi al Patto globale sulla migrazione delle Nazioni Unite, l’unica arma nelle mani del Popolo elvetico è dire a gran voce sì all’iniziativa sull’autodeterminazione in votazione il prossimo 25 novembre. Questo perché – se sprovvisti della garanzia del primato dato al diritto costituzionale svizzero sul diritto internazionale – un giorno saremo chiamati ad attuare tutti quegli impegni «giuridicamente non vincolanti» voluti dal DFAE e dal Consiglio federale in materia di migrazione.
* consigliere di Stato