Sarà uno dei temi del Simposio sui rapporti tra Cantone e Comuni. Della Santa: ‘Il coinvolgimento attivo per destare l’interesse per la cosa pubblica’.
La politica di milizia è in crisi in Ticino? «Se ci limitiamo alle istituzioni locali, in alcuni Comuni funziona, in altri è in difficoltà, in altri ancora è in crisi. Diciamo che la situazione in generale tende, purtroppo, a peggiorare, con sempre meno persone che si candidano alla carica di municipale o a quella di consigliere comunale». A scattare la fotografia è Marzio Della Santa, responsabile, al Dipartimento istituzioni, della Sezione enti locali, la Sel. Il futuro del sistema di milizia nella nostra democrazia, che vede negli organi legislativi ed esecutivi (ad eccezione del Consiglio di Stato) politici non professionisti, sarà uno dei temi della quarta edizione, organizzata dalla Sel, del ‘Simposio sui rapporti tra Cantone e Comuni’, in programma per la prossima settimana, giovedì 2 febbraio con inizio alle 14, nell’Auditorium della Scuola cantonale di commercio a Bellinzona. L’evento, fa sapere il Dipartimento, è destinato anzitutto a municipali, consiglieri comunali, autorità politiche cantonali, rappresentanti dei partiti, funzionari dell’Amministrazione cantonale e di quelle locali (iscrizione obbligatoria entro il 30 di questo mese tramite il formulario su www.ti.ch/eventis sito dove il simposio potrà essere pure seguito “in diretta streaming”). L’accresciuta complessità dei problemi che la politica è chiamata a risolvere, la necessità di disporre anche di competenze specifiche, la difficoltà di conciliare attività istituzionale, impegni professionali e/o vita familiare: questi e altri i motivi che possono indurre a rinunciare a candidarsi o a mollare la carica alla quale si è stati eletti. Ma al di là di fattori più o meno contingenti, c’è una questione, anzi, la questione di fondo: l’interesse per la cosa pubblica. O meglio, il disinteresse. Che qualcuno sostiene essere vieppiù diffuso, in Ticino come altrove. E allora, restando sul piano comunale, come ridestare l’interesse per la cosa pubblica? E di riflesso come rivitalizzare il sistema di milizia? «Nell’avvicinare o nel riavvicinare i cittadini alle istituzioni – afferma Della Santa –. Intendiamoci, non è una sfida da poco. Ma dobbiamo affrontarla, anche per arginare l’astensionismo in occasione degli appuntamenti elettorali. Dobbiamo affrontarla affinché quella che chiamiamo democrazia viva non rimanga una visione romantica. Per questo, come Sezione enti locali, facciamo leva sul concetto di partecipazione. In altre parole, secondo noi è fondamentale che le istituzioni comunali coinvolgano, in maniera attiva, i cittadini nell’individuare le soluzioni, in grado di raccogliere il più ampio consenso possibile, ai problemi. Nel trovare quelle soluzioni che possano soddisfare al meglio i bisogni riconosciuti».
Per il capo della Sel, il coinvolgimento non passa solo dall’informazione alla popolazione sui progetti che il Comune intende realizzare o dalle serate pubbliche organizzate dal Municipio su questo o quel tema. Occorre spingersi oltre. «Chi viene eletto – rileva Della Santa – non dovrebbe più considerarsi o essere considerato il portatore esclusivo di decisioni e soluzioni: le istituzioni locali dovrebbero avere la capacità di coinvolgere, ripeto attivamente, i cittadini. Raccogliendo così le loro opinioni, le loro proposte, facendo tesoro delle loro competenze. Rendendoli insomma veramente partecipi della vita politica comunale. Si tratta infatti non solo di cercare la soluzione migliore, ma anche di creare un consenso allargato intorno a quella soluzione. È la cittadinanza attiva che crea una comunità». Una cittadinanza attiva che «rafforza la responsabilità individuale e che favorisce l’acquisizione di una cultura politica che punta alla composizione dei conflitti e non a sterili contrapposizioni». Come possono i Comuni ‘reclutare’ cittadini attivi? «Per esempio con un annuncio pubblico, oppure sorteggiandone un determinato numero, liberi poi i cittadini di accettare o meno, liberi di partecipare o meno alla ricerca della o delle soluzioni e dunque all’azione politica del Comune».
Oggi, continua il responsabile della Sezione enti locali, «i cittadini fanno fatica a identificarsi nei partiti, in famiglia non si cresce più a pane e politica e in diversi provano una certa frustrazione, che per finire può tradursi in sfiducia nelle istituzioni, perché non riescono a capire meccanismi e ragioni di questa o quella decisione dell’autorità politica locale. E non è sufficiente assistere alle sedute del consiglio comunale, che in alcuni casi sono contraddistinte da un livello di litigiosità che rende la carica pubblica scarsamente attrattiva». Della Santa non ha dubbi: «Se i cittadini si sentono attivamente coinvolti nella vita politica comunale, alcuni di loro, che hanno potuto già testare le rispettive competenze, saranno poi disposti anche a candidarsi alle elezioni. Avremo in tal modo, a proposito di competenze individuali, delle candidature anche di qualità».
Mazzoleni: parliamo di una componente dell’identità svizzera
La politica di milizia, da quella comunale a quella cantonale. «La questione è più complessa di quanto sembra», premette il politologo. Oscar Mazzoleni, direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna. «Da un lato c’è la difficoltà, per il parlamentare, di far ‘quadrare il cerchio’, tra politica, vita privata e attività professionale; dall’altro c’è la milizia come valore. Non stiamo quindi parlando solo dell’esercizio di una carica, ma di un principio, di una componente dell’identità svizzera: dell’idea che la politica deve essere un servizio per la comunità e non una professione, ossia una fonte di guadagno. La forza del principio di milizia – prosegue Mazzoleni – spiega perché quando i cittadini svizzeri sono chiamati alle urne, in molti cantoni e anche in Ticino, come è accaduto a Bellinzona nel 2018, tendono a opporsi all’aumento delle retribuzioni delle cariche politiche». Questo si spiega dal fatto che «il professionismo politico è visto come un allontanamento del politico dal cittadino. E in un’epoca di disaffezione verso la politica e di anti-politica, è facile alimentare il sospetto che i politici professionisti si trasformino in una casta che si contrappone agli interessi dei cittadini».
Guardando al parlamento cantonale ticinese, «ci si può chiedere se la milizia su cui si regge stia effettivamente riducendo l’attrattività della carica, visto il record di candidati per il Gran Consiglio (924, ndr)». Per Mazzoleni è quindi difficile ipotizzare un cambiamento delle ‘condizioni’ (con magari un aumento della remunerazione) per i parlamentari: «Come per qualsiasi posto di lavoro, le condizioni offerte vengono in genere migliorate, anche da un punto di vista remunerativo, quando ci sono pochi aspiranti». Questo nonostante negli anni sia aumentata la pressione pubblica e mediatica, anche sui granconsiglieri. «Fino a qualche decennio fa i parlamentari erano meno esposti. C’era meno personalizzazione della politica, il ruolo dei media era diverso e non esistevano i social. Inoltre, i gruppi parlamentari erano più compatti. Tutto ciò rendeva i singoli deputati meno visibili al pubblico e quindi era anche più facile gestire la propria immagine». Tuttavia, precisa il politologo, «proprio la maggiore notorietà pubblica rappresenta anche, nel contempo, un incentivo positivo. Non c’è infatti solo l’aspetto remunerativo che rende ambita una carica politica, ma il prestigio e la popolarità che tale carica porta con sé. A questo si aggiunge la possibilità di stringere relazioni che possono aiutare nella vita professionale».
Appare però anche chiaro che la politica di milizia implichi «persistenti e persino aumenti delle disuguaglianze nell’accesso alle cariche pubbliche», afferma Mazzoleni. «Più una carica richiede tempo e competenze, più diventa selettiva sul piano socio-professionale. Ciò significa che l’accesso alla carica tende a essere riservato a persone che possono più facilmente liberare tempo dagli impegni famigliari e professionali e che dispongono delle risorse formative che non tutti hanno. Ciò spiega anche una parte degli abbandoni, ovvero di deputati che non si ripresentano più alle elezioni».
Articolo pubblicato nell’edizione di venerdì 27 gennaio 2023 de La Regione