L’Interprofessione della vite e del vino contesta la decisione delle Assise criminali di vendere all’incanto le trentamila bottiglie di Barbera spacciato per prodotto di pregio: «Quel vino non vada all’asta»
Tutti i dubbi
Un’eventualità che però, non è andata giù all’Interprofessione della vite e del vino ticinese – sodalizio che riunisce tutta la filiera vitivinicola – che si dice preoccupata principalmente per tre aspetti.
Primo: la qualità del vino che verrebbe messo in commercio. «Cosa si sa esattamente sulle pratiche enologiche praticate in cantina per la contraffazione del vino? È vero che Gesù ha trasformato l’acqua in vino, ma quello fu un miracolo di portata divina», si legge in una nota stampa firmata dal presidente Andrea Conconi. «Se come riportato dai media, vinificando della Barbera siano riusciti ad ottenere vini così diversi, è legittimo presumere che siano stati aggiunti aromi, glicerina, tannini e/o altri prodotti per imitare i prodotti originali».
Secondo: le conseguenze economiche per il settore. «La messa in commercio di trentamila bottiglie andrà sicuramente a colpire chi lavora in maniera corretta e che già soffre l’agguerrita concorrenza dei vini di importazione», prosegue la nota stampa. L’Interprofessione ritiene dunque «che in assenza di documenti veritieri che attestino la provenienza dei vini, questi debbano essere declassati alla terza categoria con la denominazione vino da tavola di origine Europea, senza annata, senza nome di fantasia e senza immagini che possano trarre in inganno il consumatore». Il valore di mercato di una simile bottiglia sullo scaffale «non può superare i 2-3 franchi».
Terzo: parità di trattamento con altri prodotti contraffatti. Per il sodalizio, le bottiglie vanno trattate alla stregua di altro materiale contraffatti, come ad esempio orologi di lusso, il quale viene di norma distrutto.
Riassumendo, queste trentamila bottiglie andrebbero distrutte, senza se e senza ma. E se proprio si decidesse di venderle comunque, almeno lo si faccia a prezzi contenuti.
La missiva a Bellinzona
Le preoccupazioni sono state messe anche nero su bianco in uno scritto indirizzato al direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi (e, in copia, anche al Laboratorio cantonale di Bellinzona, al Controllo svizzero del commercio dei vini a Dübendorf, all’Associazione svizzera commercio dei vini a Berna, all’Ufficio federale della sanità pubblica, all’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria, all’Ufficio federale dell’agricoltura, all’Interprofessione della vite e del vino svizzeri a Berna e al presidente del Tribunale d’appello a Lugano). Da noi contattato, Gobbi afferma che «la lettera è giunta al mio Dipartimento. L’intenzione, che ho già discusso con la direttrice della Divisione della giustizia, Frida Andreotti, è quella di incontrare i responsabili dell’Interprofessione della vite e del vino per discutere questa situazione, con l’obiettivo di non arrecare danno né al settore vinicolo cantonale né allo Stato, che è creditore. Non posso quindi al momento anticipare il risultato della discussione che dobbiamo ancora fare e della decisione che prenderemo sull’opportunità o meno di mettere all’asta queste bottiglie».