Dal Giornale del Popolo | Il procuratore generale della Confederazione Michael Lauber incontra il Governo e fa il punto.
Per contrastare le infiltrazioni dei gruppi mafiosi italiani nell’economia e combattere il riciclaggio di denaro servono sanzioni e strumenti adeguati. A cominciare dall’inasprimento delle pene (in particolare dell’articolo 260 ter del codice penale) e dalla semplificazione delle attività di inchiesta. È questa la forte convinzione che anima un folto gruppo di inquirenti federali – procuratori, giudici, ispettori – e di direttori cantonali di Dipartimenti delle istituzioni, che non vedono l’ora di rendere la vita più difficile alla criminalità organizzata in Svizzera. Perché se è vero, come è vero, che l’antenna luganese della Procura federale elvetica lavora ad esempio in modo egregio con la Procura di Milano – a dimostrarlo sono le molte inchieste condotte in modo congiunto negli ultimi anni – è anche vero che la lotta alla criminalità organizzata non può fare a meno del controllo diretto del territorio, in cui le organizzazioni mafiose cercano di espandersi e di pene che vadano oltre i 5 anni di detenzione, così come è oggi, per chi è riconosciuto colpevole di fa parte di un’organizzazione criminale. Ecco perché, quando la Magistratura federale ha riorganizzato nel 2015 le modalità di lavoro e la suddivisione delle responsabilità tra la sede centrale di Berna e l’antenna distaccata di Lugano «erano state sollevate alcune perplessità», ci spiega il direttore del Dipartimento delle istituzioni (DI), Norman Gobbi. Perplessità oggi però «del tutto fugate, in quanto i risultati della riorganizzazione appaiono positivi». Così almeno ha evidenziato il procuratore generale della Confederazione Michael Lauber ieri al Consiglio di Stato ticinese, incontrato in corpore, su richiesta del direttore del DI, proprio per aggiornarsi in modo reciproco sui temi legati alla sicurezza. E così confermano le collaborazioni regolari con le autorità italiane e l’attenzione, sempre alta delle nostre autorità inquirenti. Inasprire le sanzioni previste dal codice penale appare comunque un’operazione importante. Ecco perché il procuratore generale ha informato il Governo ticinese di aver rivolto ufficialmente tale richiesta al Dipartimento federale di giustizia e polizia, dopo che il tema è stato approfondito in lungo e in largo da uno speciale gruppo di lavoro, composto da giudici, procuratori e anche direttori di Dipartimenti delle istituzioni.
L’attenzione deve insomma restare alta. Anche perché i fenomeni criminali evolvono di continuo, come evidenzia l’allerta della Confederazione, anch’essa illustrata al Consiglio di Stato da Lauber durante l’incontro di ieri, sulla propaganda fondamentalista. «I Cantoni – annota Gobbi – sono chiamati ad assicurare il controllo del territorio e a vigilare in particolare sul proprio sistema penitenziario, evitando che diventi luogo d’elezione per la diffusione del radicalismo». Il riferimento, non troppo velato, è ai tre iracheni condannati quest’estate dal Tribunale penale federale di Bellinzona di essere membri o sostenitori dell’autoproclamato Stato islamico dell’Iraq (ISIS). E a quanto già successo in altre parti del mondo, dove è stato proprio dietro le sbarre che i fondamentalisti islamici hanno fatto proselitismo.