Una mia opinione pubblicata oggi sul Corriere del Ticino
Sono trascorsi 50 anni dall’8 agosto 1968, giorno dell’inaugurazione del Penitenziario cantonale della Stampa a Cadro. Negli ultimi anni non sono mancate le riflessioni sul futuro di una struttura che oggi necessita di un deciso restyling. Da un lato, si intende correggerne i limiti imputabili all’età, dall’altro si cercherà di fornire una risposta almeno parziale al cronico problema della mancanza di spazi e della conseguente sovraoccupazione (sovraffollamento). Preoccupazioni che il Dipartimento delle istituzioni ha fatto sue ormai da diversi anni, proponendo concrete soluzioni. Oltre alla sovraoccupazione, altri temi si sono presentati regolarmente nel corso dell’articolata storia delle carceri ticinesi: alludiamo, ad esempio, all’urgenza di mantenere il giusto equilibrio tra sicurezza, espiazione della pena e reinserimento sociale, così come alle restrizioni derivate da un contesto economico che spesso ha condizionato, se non addirittura compromesso, il cambiamento. Anche la prospettata ristrutturazione del Penitenziario della Stampa non è sfuggita all’obbligo di ponderare con la massima attenzione ogni investimento e per necessità di bilancio si è passati da un progetto di 142 milioni di franchi a uno di poco più di 35. L’intenzione è portare avanti sul corto-medio periodo alcuni importanti interventi puntuali: tra questi, la creazione di una sezione per detenuti con problemi psichiatrici, tossicomani e detenuti pericolosi, nonché la conversione del carcere di Torricella-Taverne in una struttura per detenute con pene da scontare non gravi. L’ipotesi di un nuovo penitenziario non è però stata accantonata: il Consiglio di Stato, con decisione del 4 luglio 2018, ha infatti dato mandato al Dipartimento e alla Sezione logistica di intraprendere una valutazione di ubicazioni alternative per la realizzazione di un nuovo complesso carcerario, sulla base del relativo masterplan. Procedure, modalità e aspetti finanziari vanno ancora valutati nel dettaglio. E non è comunque per domani: si parla di un termine temporale di alcuni decenni.
La Stampa taglia quindi un significativo traguardo e lo fa potendo contare anche sull’apporto di un personale motivato, preparato e competente, con uno spiccato senso di appartenenza. A tutti i collaboratori vada il nostro sincero ringraziamento.
In precedenza, il carcere cantonale sorgeva in piena Lugano e nacque sull’onda dell’esperienza non positiva della Casa di forza di Bellinzona, al Castel Grande. L’inaugurazione risale al 1. luglio 1873 e il primo direttore fu Fulgenzio Chicherio, illuminato avvocato, giurista, sociologo e umanista, che propose una gestione innovativa del carcere imperniata sulla sicurezza e l’esecuzione della pena, certo, ma anche sul rispetto della dignità dell’uomo.
Anche il carcere di Lugano fece il suo tempo e si dovette pensare a una nuova sede. Varie le proposte sul tavolo, ma la risposta si trovava sul piano della Stampa. E una volta tanto, le cose andarono veloci: il 10 settembre 1962 il Gran Consiglio accettò i crediti necessari; il 22 settembre 1964 si pubblicò il concorso per l’appalto delle opere di capomastro; il 1. marzo 1965 partì il cantiere, portato a termine l’11 marzo 1968; l’8 agosto l’inaugurazione. Il progetto era degli architetti Bernasconi, Cavadini, Jäggli. Il credito votato dal Gran Consiglio con decreti legislativi del 10 settembre 1963 e del 14 aprile 1964 fu di 7 milioni di franchi (6,65 per la costruzione, il resto per il terreno); l’opera fu sussidiata dalla Confederazione nella misura di oltre 3 milioni.
Sono passati 50 anni. Ora è tempo di compiere un ulteriore sforzo che permetterà al nostro Cantone di continuare a disporre di una struttura all’avanguardia, in grado di soddisfare opportunamente le esigenze di tutti.
Prossimamente, il Dipartimento delle istituzioni pubblicherà un volumetto che ripercorre la storia del Penitenziario della Stampa attraverso l’evoluzione delle carceri ticinesi, partendo dall’epoca prebalivale – quando a fungere da prigioni erano torri cupe e umidi sotterranei – per arrivare ai giorni nostri.