Da Corriere del Ticino, di Gianni Righinetti l Norman Gobbi taglia drasticamente l’investimento per La Stampa: da 142 a 35 milioni
Il carcere della Stampa non diventerà una struttura di lusso. Il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, intervistato dal Corriere del Ticino (il testo integrale sulla versione cartacea) spiega il perché e traccia la via per una revisione degli standard da hotel a cinque stelle delle strutture pubbliche in genere.
Ha deciso di dare un taglio netto agli investimenti per il nuovo carcere: da 142 a 35 milioni di franchi. Perché?
«La situazione delle finanze cantonali è chiara a tutti: se dobbiamo tirare la cinghia, questo va fatto anche sugli investimenti e non solo sulla gestione corrente. Non bisogna infatti mai perdere di vista la realtà. Un investimento produce sempre un effetto diretto sulla gestione corrente. Nel caso del carcere è vero che la struttura, con i suoi 50 anni, non è più perfettamente adeguata, ma la si può rimodernare riducendo la spesa senza per questo mettere a rischio quella che è la sua funzione primaria».
Con questa mossa vuole fare passare il messaggio «io i compiti li ho fatti» in vista della manovra che vi impegnerà nei prossimi mesi?
«No, non direi. Sono scelte che andavano prese in questo momento, dato che il prossimo passo sarebbe stata la presentazione della richiesta di crediti di progettazione del nuovo carcere all’attenzione del Parlamento. La tempistica è quindi quella giusta. La mia decisione non rappresenta nessun messaggio ai colleghi, che sono grandi e vaccinati, bensì una presa di coscienza all’interno del mio dipartimento. Preferisco infatti garantire il personale adeguato e rivedere gli investimenti, piuttosto che puntare a standard elevati a scapito dell’essenziale supporto del capitale umano. Non ho voluto rendere il carcere una struttura più lussuosa, come dice qualcuno, a cinque stelle: ritengo ci siano ben altre priorità in Ticino. Con questa ristrutturazione da 35 milioni di franchi, saranno svolti quegli interventi necessari per continuare a garantire l’operatività migliorando l’ambiente di lavoro per i nostri agenti di custodia, nel rispetto della dignità dei detenuti».
Come è possibile discutere per anni dell’importanza di questo investimento e poi, all’improvviso, rinunciarvi?
«Preciso che non si tratta di una rinuncia, altrimenti non avremmo fatto alcun investimento. È un ridimensionamento secondo una nuova scala di priorità. Va ricordato che quando è nato questo progetto c’era chi non voleva neppure piazzare un nuovo mattone o un muro attorno al carcere. Oggi la struttura risponde già alle minime necessità, pertanto i cittadini avrebbero potuto percepire un nuovo carcere come una struttura di lusso. Ripeto: non credo proprio che questa sia la priorità quando si chiede a tutti i cittadini di tirare la cinghia e di fare dei sacrifici».
Eppure avete sempre definito di «degrado avanzato» lo stato di salute di quel complesso. Significa che, vista la situazione finanziaria, dobbiamo rivedere i parametri di giudizio e degli standard un po’ ovunque?
«È una delle questioni che, nella situazione che abbiamo oggi, non può più essere sottovalutata e diventerà centrale per tutte le strutture pubbliche. È uno dei punti che solleviamo quando incontriamo i Comuni. Troppo spesso siamo noi enti pubblici, Cantone ed Enti locali, che fissiamo degli standard qualitativi eccessivamente elevati. Risparmiare non significa solo fare tagli draconiani, ma cambiare la mentalità che c’è nell’amministrazione. Insomma, con i soldi dei cittadini non si deve andare lunghi solo perché si ha la falsa idea che non escono dal proprio borsellino. E questo non vale solo per gli investimenti, ma anche nella gestione corrente. È una questione di mentalità ed approccio al denaro che va migliorata, mettendo al centro il cittadino-contribuente».