Dal Giornale del Popolo del 20 giungno 2016, un articolo di Martina Salvini
Accade anche se sei sposato con uno svizzero. Nel 2015 in Ticino sono stati 36 i casi. Secondo Gobbi non si applica un pugno di ferro, ma “dura lex, sed lex”.
Il sasso nello stagno lo aveva lanciato il consigliere di Stato Manuele Bertoli con un articolo pubblicato quasi 2 mesi fa sul Corriere del Ticino: in Ticino, argomentava Bertoli, si sta applicando una politica restrittiva di rimpatrio di cittadini stranieri sposati con una persona svizzera. Una misura che va a disgregare la famiglia, in quanto spesso queste coppie hanno figli. Nel suo articolo Bertoli aveva voluto attirare l’attenzione su un tema che periodicamente torna di attualità, ma che a suo dire in questi ultimi anni si manifesta con maggiore insistenza.
Abbiamo voluto sentire a questo proposito il consigliere di Stato Norman Gobbi, titolare dei dossier che vengono trattati dalla sezione della popolazione. Quanti sono i casi di decisioni di allontanamento in Ticino? Perché si interviene con questi provvedimenti? Ecco che cosa ci ha risposto Gobbi.
In un contesto economico in cui trovare un lavoro per molti residenti (stranieri domiciliati compresi) diventa più difficile, è giustificato l’intervento con il “pugno di ferro” contro il coniuge straniero disoccupato (o solo parzialmente occupato) che non riesce a garantire una solidità finanziaria alla sua famiglia senza il sostegno statale?
Parlare di «pugno di ferro» significa formulare una valutazione che mi pare impropria. “Dura lex, sed lex” recita un detto latino. Per quanto dura la legge – in questo caso quella federale – va rispettata. Ed è proprio questo il modus operandi adottato dal mio Dipartimento nel pieno rispetto del nostro sistema federalista. Nei confronti dei coniugi di cittadini svizzeri rimasti senza lavoro e che ricorrono agli aiuti pubblici, come in tutti gli altri casi che affronta, la Sezione della popolazione basa il proprio esame sulla legislazione federale e internazionale e sulla giurisprudenza del Tribunale federale. Si tratta di persone che normalmente non hanno partecipato e contribuito al nostro sistema economico in modo attivo e durevole. Anche un cittadino comunitario, per esempio, che perde il lavoro e ha esaurito le indennità di disoccupazione, se non dispone di mezzi propri per mantenersi, perde il diritto a soggiornare in Svizzera.
Occorre comunque chiarire che, per i coniugi di cittadini svizzeri, il fatto di percepire aiuti sociali non comporta automaticamente la revoca del permesso di dimora. Chi ha ottenuto un permesso di dimora nell’ambito del ricongiungimento con un cittadino svizzero, se l’unione coniugale è effettiva ovvero se il matrimonio è realmente avvenuto, non può vederselo revocare o non rinnovare solo perché inizia a percepire prestazioni assistenziali. Sui nostri media leggiamo spesso le storie di persone che vengono allontanate dalla Svizzera e devono separarsi dalla famiglia, che agli occhi dei lettori appaiono come una grande ingiustizia. Ricordiamoci però che ci sono sempre motivazioni valide dietro ogni decisione e nell’iter che porta alla scelta si approfondisce ogni situazione. Posso infatti assicurare che ogni caso è sempre esaminato con la massima attenzione, e che prima di giungere alla revoca del permesso di soggiorno – che tengo a sottolineare rimane per noi l’ultima ratio – procediamo sempre a un ammonimento. Sui giornali spesso leggiamo solamente una parte della storia, quella che evidentemente alcuni hanno interesse a far emergere. In realtà dietro a queste situazioni frequentemente si celano degli abusi, per esempio matrimoni combinati o forzati, celebrati al solo scopo di ottenere un permesso di soggiorno nel nostro Paese. E lo Stato non può farsi carico di problematiche che scaturiscono da unioni coniugali fondate sulla volontà di raggirare la legge. I suoi compiti sono altri.
Nei casi in cui si decide che il coniuge straniero deve lasciare la Svizzera sono stati riscontrati degli abusi del nostro sistema sociale? Se sì, quali sono questi abusi?
Non è corretto parlare di abusi veri e propri ai danni del sistema sociale. La legge stabilisce che se vengono meno le condizioni per mantenere l’autorizzazione di soggiorno, per esempio la persona non dispone di un lavoro né di mezzi propri per continuare a vivere nel nostro Paese, deve lasciare la Svizzera.
Quante sono annualmente le decisioni di allontanamento dalla Svizzera che toccano un coniuge straniero di una cittadina svizzera?
Nel 2015 abbiamo registrato 36 casi su un totale di 189 revoche emesse dalla Sezione della popolazione. 28 hanno toccato cittadini di Stati terzi mentre 8 cittadini dell’Unione europea.
Nel suo Dipartimento in che maniera viene considerata un’azione più globale a favore del sostegno della famiglia e del reinserimento nel mondo del lavoro da parte del coniuge straniero disoccupato? I casi a rischio vengono segnalati e seguiti dalle autorità preposte (magari di altri dipartimenti, come gli uffici del lavoro, per esempio) prima di adottare il provvedimento dell’espulsione?
Il mio Dipartimento, per il tramite della Sezione della popolazione ha in questi casi il compito di regolamentare le condizioni di soggiorno dei cittadini stranieri nel nostro Paese; nella sua sfera di competenza non ci sono attività sociali come il sostegno alle famiglie in difficoltà o il reintegro nel mondo del lavoro di cittadini stranieri rimasti senza attività. Questi compiti spettano a servizi come gli Uffici regionali di collocamento del Dipartimento delle finanze e dell’economia e alla Divisione dell’azione sociale e delle famiglie, del Dipartimento della sanità e della socialità.
Prima di ordinare l’allontanamento di un coniuge di un cittadino svizzero procediamo comunque a un ammonimento formale, dopo il quale l’interessato dispone pur sempre di un certo lasso di tempo per cercare aiuto – qualora non lo abbia ancora fatto – e migliorare la propria situazione economica e professionale, così da evitare la revoca dell’autorizzazione di soggiorno. Dopo la nostra decisione ha poi il diritto di ricorrere alle istanze superiori che valutata la situazione deliberano in merito. Quando deve lasciare il nostro Paese il cittadino straniero spesso quindi lo fa sulla base di una decisione confermata anche dalle altre autorità (Consiglio di Stato, Tribunale cantonale amministrativo, Tribunale federale).