Bellinzona, dalla Conferenza intercantonale segnalazione dal Canton Vaud che ha registrato una novità su cui riflettere.
«Il Ticino, dall’aprile 2011, ha imboccato per decisione dipartimentale una nuova via, ossia quella di riconoscere aree di sosta per i nomadi svizzeri e, forte della volontà politica del Dipartimento e dell’opposizione di principio dei Comuni, di non mettere a disposizione dei nomadi stranieri aree di sosta o transito». Il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi è stato chiaro nella sua breve relazione-saluto nell’ambito della Conferenza annuale 2012 sui nomadi delle regioni Romandia, Berna e Ticino svoltasi ieri a Bellinzona e che ha riunito vari rappresentanti delle polizie cantonali e del Centro di cooperazione doganale di Ginevra. Dalle relazioni non sono mancati i segnali su cui riflettere. Uno proviene dal Canton Vaud dove si è registrata una preoccupante prima svizzera, relativa ai ritrovamenti di vere e proprie baraccopoli nei boschi allestite da parte di nomadi. Una tendenza, è stato sottolineato, che potrebbe spostarsi anche in altri Cantoni. La notizia ha suscitato interrogativi tra i presenti.
Questa prima svizzera per il Canton Ticino, confinante con la vicina Italia, non rappresenta di certo un discorso nuovo perché a pochi chilometri dalla frontiera, nella zona circostante Milano e Torino, sono diverse le baraccopoli abusive abitate da nomadi. Situazioni conosciute ma che ieri a Bellinzona sono state ricordate nel dettaglio dai poliziotti italiani presenti alla Conferenza che hanno spiegato le difficoltà quotidiane e i problemi, ci segnala Gobbi, derivanti da questi insediamenti abusivi. Gli investigatori italiani, prosegue, hanno invitato i presenti a vigilare, a controllare il territorio in modo mirato e preciso perché la loro esperienza insegna che diventa arduo, una volta installatisi sul territorio, spostare insediamenti e persone. Gobbi, ribadendo la propria posizione sul problema, ha ricordato le sue proposte, riconoscendo però al Governo l’ultima parola in fatto di politica da adottare.
«Rimarrà attiva, in Ticino, la cellula operativa della Polizia cantonale e della mediatrice, in modo da gestire le carovane che raggiungeranno il nostro Cantone» ha aggiunto. Poi ha parlato di quanto accadrà in futuro. «Prossimamente il Governo dovrà decidere se la politica cantonale in materia di nomadi seguirà il nuovo corso avviato dal Dipartimento delle istituzioni, oppure vorrà confermare la passata volontà di imporre ai Comuni delle aree di sosta e transito per nomadi stranieri».
«Il dossier ‘’Nomadi in Ticino” – aveva esordito il direttore del Dipartimento – è stato uno dei primi affrontati all’inizio del mio mandato nell’aprile 2011. Non tanto perché si tratta di un dossier prioritario della politica cantonale, quanto per l’imminenza della cronaca locale e della chiusura estiva dell’area d’emergenza di Galbisio. Ho cercato di affrontare il tema di petto, con un certo impeto leghista, proprio perché è ormai indiscutibile che la presenza di carovane di nomadi sul territorio ticinese è percepita in maniera problematica; e non solo in Ticino si vive questa situazione. Il nostro Cantone si è dotato di una commissione nomadi, istituita nel lontano 1996, che in questi 15 anni non è arrivata – con il supporto dell’amministrazione cantonale a concretizzare quanto richiesto dal “Movimento contro il Razzismo e la Xenofobia”, ossia creare delle aree di sosta e di transito adeguatamente attrezzate per la popolazione nomade. Un fallimento degli obiettivi dovuto all’assenza di disponibilità dei Comuni a mettere a disposizione aree o accettare aree nei loro comprensori. Per questo motivo il Governo aveva dato avvio alla procedura per l’istituzione di un piano d’utilizzazione cantonale (PUC), così da imporre dall’alto con uno strumento pianificatorio la realizzazione di aree di transito. Un’esperienza sin qui sterile, poiché né i Comuni, ma credo nemmeno il Gran Consiglio, sono disposti ad imporre alle comunità ed enti locali la realizzazione di aree di sosta e transito per nomadi stranieri».
Il problema è caldo e va risolto, rispettando i diritti di tutti, cittadini e nomadi, stranieri o svizzeri. E.GA