Intervista pubblicata nell’edizione di venerdì 15 marzo 2019 del Corriere del Ticino
Quattro anni vissuti intensamente, dai permessi falsi al casellario giudiziale
Norman Gobbi, consigliere di Stato e direttore del Dipartimento delle istituzioni, è stato eletto sulla lista della Lega nel 2011 e cerca una nuova conferma sulla lista unica Lega-UDC. Dal caso dei permessi falsi al sovranismo alla Matteo Salvini.
Partiamo da un dossier che a metà legislatura le ha creato parecchi grattacapi: i permessi falsi. Oggi tutto funziona?
«Direi che è tutto a posto nella misura in cui è stato predisposto un sistema di verifica interna rafforzato, una sistematica non presente in altri Cantoni. E ci ha permesso di rispondere ad un altro problema riscontrato: i tempi lunghi di evasione delle verifiche. Abbiamo aumentato i controlli ma nello stesso tempo diminuiti i tempi. E per un sistema amministrativo è senz’altro un successo».
Quando era scoppiato il caso era intervenuto con rabbia dicendosi «furibondo» nei confronti dei funzionari che avevano tradito la fiducia. Era scenografia o era davvero incavolato?
«Ero davvero furibondo, il tema dell’immigrazione è tra quei temi che potrei definire core business della mia azione politica. Vedermi tradito su in tema tanto sensibile, mi ha profondamente ferito e ha tradito il rapporto di fiducia che ci deve essere tra Stato e cittadino».
Si può dire che, fondamentalmente, le è andata bene visto che presto, per effetto del caso Argo1, i riflettori su di voi si sono spenti. In Ticino capita che scandalo scaccia scandalo. Tutto va quindi bene così?
«Non direi che scandalo scaccia scandalo, tanto che lei mi pone una domanda su questo tema, significa che ha lasciato il segno, come il segno lo ha lasciato anche Argo1. Semmai c’è stato un approccio diverso da parte del mio Dipartimento rispetto a quello di Paolo Beltraminelli. Io ho voluto subito misure d’urgenza, per avere una maggiore verifica di ciò che fa un funzionario in materia d’immigrazione. La situazione da noi si è presto normalizzata, al DSS i tempi sono stati molto più lunghi».
Parliamo di giustizia. Come descriverebbe il suo rapporto con il nuovo procuratore generale Andrea Pagani e come si pone di fronte alle pressanti richieste che arrivano alla politica?
«Le richieste sono sempre numerose, occorre valutarle e ponderarle. Con Pagani mi pare di poter dire che il messaggio sia passato meglio rispetto a prima del suo arrivo: in partenza vanno verificate tutte le misure interne per capire se la necessità può essere soddisfatta senza dover per forza attingere a nuove risorse e aumentare i costi. In taluni casi si è capito che lavorare meglio e risolvere alcuni problemi è possibile. Ad esempio grazie ai segretari giudiziari sarà possibile sgravare il lavoro che grava sulle spalle dei procuratori pubblici, penso soprattutto ai reati bagatella. Ci sono meccanismi da cambiare e una realtà da considerare, come la minor fedeltà alla funzione rispetto al passato. Se penso ad Antonio Perugini, al beneficio della pensione da poche settimane, ha trascorso metà della sua vita all’interno del Ministero pubblico. Oggi dei giovani vengono nominati e dopo qualche anno escono e gli incarti passano di mano con le difficoltà che questo comporta».
Siamo nel 2019 ma non sappiamo ancora cosa ha partorito il progetto Giustizia 2018. È sempre pericoloso dare delle connotazioni temporali precise in politica dove i tempi sono spesso eterni. È d’accordo?
«Esatto, e vale soprattutto sulla giustizia, l’ho constatato parlando con i colleghi attivi in diversi Cantoni. I tempo sono davvero lunghi forse anche perché la Magistratura ha una tendenza a conservarsi più che a riformarsi. Ma la prudenza è anche un bene, e lo dice un decisionista. Ma in questa materia può accadere che spinte troppo decise portino a scelte affettate. Giustizia 2018 ci sta permettendo di riallacciare un discorso costruttivo con tutta la Magistratura ed è l’aspetto più importante per i rapporti con il terzo potere».
Qualche volta il suo Dipartimento è stato ritenuto poco disposto al dialogo nel caso di persone che hanno dovuto lasciare la Svizzera per problemi di permesso. Anche famiglie e persone integrate. Tutta colpa di Gobbi?
«Quando si parla di richiedenti l’asilo a decidere è la Confederazione e il Cantone è chiamato ad eseguire. Nel caso di chi ha un permesso ed è stato espulso, vale il principio del rigore nei confronti delle persone che approfittano del nostro paese dal profilo sociale, dei debiti fatti singolarmente come pure, talvolta, dal profilo dei reati penali».
Una volta la Lega era il partito dei muri (ad esempio alla frontiera), lei è sempre di quell’avviso o ha ammorbidito la sua linea politica?
«I muri servono per dare protezione. Non servono per dividere. La protezione è indispensabile perché siamo un cuneo di un sistema molto liberale all’interno di un contesto economico e sociale in difficoltà, penso soprattutto all’Italia. Il fatto che sul nostro territorio riusciamo a garantire un alto grado di sicurezza ci permette di attrarre ancora buoni contribuenti e buone aziende».
Il sovranismo alla Salvini è anche il suo concetto di sovranismo?
«Lui lo esercita all’interno di una realtà più economica che politica che è l’UE. All’interno di questa c’è qualcuno che definisce quali sono i compiti da svolgere. Noi, fortunatamente, viviamo in un Paese federalista nel quale i Cantoni godono ancora di margini di autonomia e sovranità».
I ticinesi in questi anni si sono anche visti tartassati da un leghista in materia di imposte di circolazione. Quella fu una sua gaffe o anche lei si è accorto troppo tardi che il meccanismo andava aggiustato?
«Sulle imposte di circolazione io, da parlamentare, ero contrario perché già allora convinto che quel sistema bonus/malus non era sostenibile. Il problema è che non c’è una soluzione che va bene a tutti ed è emerso dalla consultazione. Ognuno ha la sua visione perché pensa alla sua macchina. Il nuovo sistema ci permetterà di riallinearci sulla media nazionale, puntando però anche sull’aspetto ambientale».
Un tema che le sta particolarmente caro è la sicurezza. Il Ticino è un luogo sicuro?
«Decisamente più sicuro da quando ho preso in mano il Dipartimento. I dati lo dicono chiaramente, anche in quei territori come il Mendrisiotto o il Malcantone, presi di mira da parte dei delinquenti. Oggi abbiamo creato un muro di collaborazione interforze tra cantonale, comunali, guardie di confine, polizia ferroviaria e con i colleghi italiani. E le rapine sono diminuite, ma non abbassiamo mai la guardia, penso ai fenomeni come la delinquenza giovanile che proviene dai campi Rom del Milanese. Persone che sanno bene che da noi il diritto minorile è molto tollerante».
Il casellario giudiziale è stato un tema sul quale ha conosciuto anche ostacoli posati dall’interno del Governo, ma non si è mai arreso. I fatti (oggi) sembrano darle ragione. Ha qualche sassolino da togliersi dalla scarpa?
«Credo che anche in questo caso il sovranismo e la sovranità siano centrali. È stata una misura che ci ha permesso di dare un segnale e ad attribuire l’onere della prova a terzi. I dati ci dicono che, senza questa misura, circa 300 persone con reati gravi alle spalle avrebbero potuto prendere residenza o trovare un posto di lavoro da noi. Se si riferiva a Manuele Bertoli è risaputo che sui temi della migrazione non ci troveremo quasi mai d’accordo, è il lato positivo del confronto all’interno di un Governo».
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«Nella Lega abbiamo una conduzione un po’ liquida»
Qual è stato il momento più difficile degli ultimi quattro anni?
«Indubbiamente il caso dei permessi falsi. È stato il momento più buio del mio secondo quadriennio in Governo, ma che ho affrontato con determinazione, come mio solito, direi di petto correggendo la situazione».
C’è un’azione politica della quale si è pentito?
«Certamente, non sono infallibile. Ad esempio sull’imposta di circolazione avrei dovuto muovermi con maggiore anticipo, ma da consigliere di Stato le idee sono sempre tante, la voglia di fare non mi manca, ma il tempo da impiegare sui molteplici fronti è ridotto ed è sempre bene soppesare l’energia a disposizione. Siamo arrivati un po’ tardi, ma adesso ci siamo».
E qual è stato il momento che le ha dato maggiore soddisfazione?
«Comunque la corsa al Consiglio federale. Essere chiamato direttamente dal presidente dell’UDC nazionale e capire che c’era tantissima fiducia, mi sento di dire che gratifica in maniera molto importante. Non sono stato eletto, ma il segno l’ho l’asciato».
Il mestiere di consigliere di Stato è più logorante o più entusiasmante?
«Mi alzo tutti i giorni con una gran voglia di fare. Non dormo molte ore, ma a sufficienza per non sentirmi stanco. Sono contento di quello che faccio».
Salario, cassa pensioni e rimborsi: i tre temi sono stati al centro della politica per molti mesi. Per qualcuno in Governo avete fatto un po’ i furbi. Conferma o respinge?
«Direi che la respingo fermamente. Come Consiglio di Stato abbiamo proposto una soluzione per regolare il sistema pensionistico dei membri dell’Esecutivo. È vero che c’è stato negli anni una sorta di disordine amministrativo a livello di Cancelleria che ha messo in difficoltà la credibilità del Governo, benché si sia sempre operato seguendo la traccia di chi ci aveva preceduto. Nessuno ha inventato nulla e nessuno ha fatto il furbo. Chi lo ha sostenuto è stato sì in malafede».
Sente che il suo seggio è a rischio oppure dopo l’accordo con l’UDC è sereno?
«L’incertezza c’è sempre, non ci si può mai dire sereni, un’elezione ha sempre una porzione di imponderabile, così funziona la politica e non mi lamento di certo. Presto toccherà ai cittadini dire la loro, fare le loro legittime scelte. Dato che non sono tranquillo invito tutti a votare lista numero 12, candidato numero 4».
Come definirebbe il rapporto tra lei e il suo partito?
«Ottimo in tutti in sensi. Nonostante tutto a sei anni dalla morte del Nano, anche di fronte alle previsioni pessimistiche di analisti e commentatori politici, la Lega è ancora viva e vegeta. Oggi abbiamo una conduzione un po’ liquida, che rispecchia la società altrettanto liquida in cui ci troviamo, la Lega riesce comunque ad affrontare i temi, a creare coalizioni e anche a gestire quei malumori interni che ci sono, ma alla fine la sintesi leghista è vincente e non lascia strascichi. È stato così su molti temi, cito ad esempio la tassa sul sacco dei rifiuti. Noi guardiamo sempre avanti».
Un consigliere di Stato deve potersi muover in maniera indipendente o deve seguire la linea dettata dal partito?
«La fortuna di Claudio e quella mia è che la Lega non è molto presente a livello di apparato di partito. Ci siamo da diversi anni ma non siamo un partito storico con tutti i suoi complessi e macchinosi apparati da accontentare e foraggiare. Chi ci vota sa bene cosa otterrà, senza se e senza ma».