Articolo pubblicato nell’edizione di martedì 9 gennaio 2018 del Corriere del Ticino
La reazione di Norman Gobbi sulla decisione di Roberto Maroni di non ricandidarsi alla presidenza della Regione Lombardia.
«Grazie a lui rapporti più stabili»
Su molti temi transfrontalieri Roberto Maroni è stato un interlocutore diretto del Canton Ticino. «Sono sorpreso della sua decisione, dopo un solo mandato in veste di presidente della Regione Lombardia», osserva il consigliere di Stato Norman Gobbi. «Maroni ha contribuito alla stabilizzazione delle relazioni, anche attraverso la creazione di un assessorato ai rapporti con la Confederazione. E ha sempre avuto un occhio di riguardo per i rapporti lungo la frontiera, come dimostrano le diverse visite in Ticino e la partecipazione ad incontri istituzionali ed eventi». Da leghista Gobbi valuta positivamente la designazione di Attilio Fontana per la corsa alla successione: «L’ex sindaco di Varese è un conoscitore della realtà lombarda. Questo permette anche di guardare con ancora maggiore attenzione ai rapporti transfrontalieri».
Milano: Maroni: «È una scelta personale»
Il presidente della Lombardia spiega che la decisione di farsi da parte non c’entra con i contrasti interni Ora si apre un caso nella coalizione di centrodestra – Per la successione la Lega candida Attilio Fontana
La decisione di Roberto Maroni di non ricandidarsi alla presidenza della Regione Lombardia ha aperto un caso nella coalizione di centrodestra che si prepara alle elezioni politiche italiane del 4 marzo. L’ex ministro dell’Interno ha parlato di una «scelta personale», che nulla ha a che vedere con contrasti politici interni. Ma le sue ambizioni, emerse sulla stampa e mai veramente smentite, appaiono come una sfida al leader del suo partito, Matteo Salvini, che si presenta come candidato premier. E anche come un’imponderabile incognita sugli equilibri dell’alleanza suggellata proprio domenica scorsa in un vertice ad Arcore fra il padrone di casa, Silvio Berlusconi, lo stesso Salvini e la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Maroni, che a marzo compirà 63 anni, si preparerebbe infatti a proporsi lui come capo del governo di mediazione fra le diverse anime del centrodestra, ma solo dopo il voto. Una sorta di grande riserva, nel caso sul nome di Salvini, 44 anni, venga posto un veto da parte delle componenti più moderate della coalizione. «Non ho nulla da chiedere alla politica», ha detto ieri Maroni in una conferenza stampa a Palazzo Lombardia, nella quale ha illustrato il bilancio di cinque anni di presidenza della più grande regione italiana, rivendicando il merito della trattativa in corso con il Governo per ottenere maggiore autonomia, dopo il referendum del 22 ottobre. «Con la politica – ha aggiunto Maroni – ho una storia d’amore iniziata un quarto di secolo fa insieme a Umberto Bossi. E, come tutte le vere storie d’amore, non finirà mai. Certo, non andrò in pensione, ma sono a disposizione, se me lo chiederanno. Io so che cosa significa avere responsabilità di Governo». È la carta dell’esperienza contro i leader mediatici di oggi, anche se il governatore lombardo non se l’è presa con Salvini ma con l’avversario del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio. «Che Di Maio possa assumere un incarico di governo – ha sostenuto Maroni – è la mia sola preoccupazione, proprio perché so che cosa vuol dire quella responsabilità».
Se questa è davvero l’ambizione di Maroni, tornare a Roma per insediarsi a Palazzo Chigi, certo non lo può ammettere. Anzi, ieri ha garantito pubblicamente di sostenere la corsa del segretario del suo partito per la premiership. Ma nella Lega il suo attivismo è visto con grande sospetto. I fedelissimi di Salvini ritengono quella di Maroni una partita personale, una rivincita della vecchia guardia di cui fa parte anche il fondatore, Bossi. Magari in un gioco di sponda proprio con Berlusconi. Che ha accettato l’alleanza con la nuova Lega sovranista per la testardaggine dei numeri, che danno possibile una vittoria su PD e M5S con un centrodestra unito. Ma che è convinto che alla fine alla guida della coalizione rimarrà la sua Forza Italia, anche per la radicalità del messaggio di Salvini. Ecco perché la mossa di Maroni ha suscitato una serie di sospetti incrociati sulle reali intenzioni dei vari leader del centrodestra, che per ora hanno trovato un accordo ampio sulle priorità programmatiche: l’introduzione di una flat tax, la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, un controllo più stretto dell’immigrazione, ridiscussione dei principali trattati UE e una serie di riforme istituzionali, a partire da quella federalista e presidenzialista.
Ma come troveranno un accordo, Berlusconi, Salvini e Meloni, sui nomi e le candidature? Gli sherpa dei partiti sono al lavoro. Occorreranno altre due settimane per calibrare i candidati dei collegi uninominali (un terzo dei seggi di Camera e Senato), mentre ognuno farà per sé le liste del proporzionale (i due terzi). In Lombardia la Lega ha spuntato la continuità con Maroni: sarà uno dei suoi amministratori locali storici, l’ex sindaco di Varese, Attilio Fontana, a battersi per allungare i ventitré anni ininterrotti di governo regionale del centrodestra. Il centrosinistra, che candida l’ex spin doctor di Matteo Renzi, Giorgio Gori, che è sindaco di Bergamo, ha visto nella rinuncia di Maroni un possibile vantaggio elettorale. Quale sarà, però, il vero ruolo del governatore uscente è ancora difficile da dire. Lo si vedrà solo dal 5 marzo in avanti. Maroni, che debuttò in Parlamento nel 1992, è già stato vicepremier di Berlusconi, ministro del Lavoro e due volte ministro dell’Interno. Un ruolo da capo del Governo sarebbe la chiusura ideale della sua lunga carriera politica. Ma da qui alle elezioni potrebbe succedere di tutto. Anche che Salvini decida di scaricarlo, indispettito dal suo attivismo. E a quel punto, per Maroni, sarà davvero un cambio di vita.