Opinione pubblicata nell’edizione di martedì 30 luglio 2019 del Corriere del Ticino
Non c’è come camminare nella regione del San Gottardo – il massiccio che iconicamente rappresenta la Svizzera – per definire con chiarezza alcuni ragionamenti sul futuro del nostro Paese. Ho la fortuna di passare alcuni giorni a casa a Nante in vacanza e quindi di approfittare di queste belle giornate per effettuare escursioni, dopo i primi sei mesi intensi di questo 2019, che hanno portato anche al rinnovo di Governo e Parlamento.
Momenti di distensione, da dedicare alla famiglia e agli amici per recuperare una centralità spesso messa alla prova dal turbine in cui ci si infila facendo con passione questo “mestiere” al servizio della comunità ticinese.
Momenti che aiutano, come detto, a trovare il filo del discorso. E a me qui preme annodare un ragionamento che ritengo vitale per il futuro della Svizzera, anche pensando al 1. Agosto ormai imminente. La riflessione nasce dalla preoccupazione che avverto in maniera forte, dopo quanto avvenuto nel mese di giugno tra il nostro Consiglio federale e l’Unione europea nella trattativa per la definizione dell’accordo istituzionale (o accordo quadro). Da una parte un atteggiamento arrogante (come volevasi dimostrare) dall’altra parte una debolezza estrema in una trattativa che evidenzia la grave difficoltà del nostro Governo a gestire le relazioni con Bruxelles.
Personalmente ritengo che un’eventuale applicazione dell’accordo quadro andrebbe definitivamente abbandonata. Sono ben cosciente delle ripercussioni di un atto del genere, ma sono altrettanto persuaso che adeguare “dinamicamente” la legislazione elvetica a quella dell’UE e accettare l’intervento di un Tribunale esterno per dirimere eventuali discrepanze sarebbe… l’inizio della fine, perché andremmo a perdere il valore su cui si fonda questo nostro straordinario e unico Paese. Parlo della sovranità del nostro popolo, costruita nei secoli, e che già con il Patto del 1291 si concretizzava a favore delle comunità di Uri, Svitto e Untervaldo. Comunità che si impegnavano a sostenersi vicendevolmente contro tutti coloro che potevano intervenire in maniera violenta e autoritaria dall’esterno. E soprattutto bandendo la presenza e l’interferenza di giudici stranieri.
Padroni in casa propria, si potrebbe tradurre in modo semplice e diretto. Da almeno due secoli grazie a questa nostra sovranità siamo riusciti a sviluppare una società che si basa sulla solidarietà e sulla sussidiarietà, volte a difendere i più deboli, ma pure a favorire la crescita economica, a ricercare le opportunità in tutte le sfide che il mondo propone, a considerare la minoranza una ricchezza e la liberà individuale un valore imprescindibile.
In questi mesi in cui il Consiglio federale sta trattando con l’Unione europea mi rendo sempre più conto che ci sia troppo poca coscienza del pericolo che stiamo correndo, applicando questo accordo quadro. Questa mancata coscienza è anche dovuta a una fragilità interna, a una considerazione quasi negativa o comunque a una non comprensione di tutte quelle particolarità che invece hanno reso forte e rendono forte la Svizzera. Il nostro federalismo; la nostra democrazia diretta; l’autonomia dei Cantoni e dei Comuni; il nostro elevato ed elaborato sistema sociale; il nostro Esercito. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Dovesse sgretolarsi la radice comune costituita dalla nostra sovranità, crollerebbe tutto l’albero. Non avremmo più quella spinta ideale, e direi genetica, che abbiamo dentro di noi e che ci ha permesso di primeggiare in molti settori nel passato come nel presente. Abbiamo sempre avuto la capacità di trasformare in pregi anche i nostri difetti. Di fare di necessità virtù. Perché la Svizzera non ha mai avuto vita facile.
Le scelte definitive e decisive stanno arrivando. Così come fu con lo Spazio economico europeo, così lo sarà con questo accordo quadro. Siamo a un bivio. Spero che il 1° Agosto contribuisca a far capire a tanta gente che la strada indicata da questo accordo è quella sbagliata e che ci sia – di riflesso – una presa di coscienza forte delle capacità degli svizzeri e della Svizzera senza la necessità di questa Europa, intesa come istituzione politica.