Norman Gobbi, già candidato per l’UDC al Governo, alla vigilia dell’elezione del Consiglio federale
Sono passati quasi tre anni dalla corsa del nostro SuperNorman al Consiglio federale. Un momento che emozionò tanti ticinesi: dopo diversi anni il Ticino aveva nuovamente un suo candidato per Berna. Assieme al nostro Consigliere di Stato leghista abbiamo ripercorso i momenti salienti di quel momento, soffermandoci in particolare sul clima di allora e la collaborazione che si creò con tutto l’UDC – svizzero e cantonale – che accolsero a braccia aperte tra le loro fila il nostro Norman “nazionale”.
In queste settimane torna d’attualità sui media l’elezione di due Consiglieri federali. Inevitabile ripensare a quando era in corsa per diventare uno dei sette membri del Consiglio federale. Sta seguendo la corsa verso il 5 dicembre 2018?
Certamente! Seguo il dibattito in corso sugli organi d’informazione cantonali e federali ma non solo. Mi è capitato di confrontarmi sul tema con alcuni colleghi Consiglieri di Stato di altri Cantoni in un paio delle mie trasferte nella capitale per le riunioni dei Gruppi di lavoro di cui faccio parte. L’elezione di un membro dell’esecutivo svizzero ha sempre il suo fascino ed è inevitabile discuterne. Forse sono proprio le modalità con cui avviene l’elezione che affascina perché alla fine non è direttamente il Popolo ad avere l’ultima parola, ma è il Parlamento federale.
Lo scorso anno Ignazio Cassis centrò l’obiettivo. Non pensa mai che avrebbe potuto essere al suo posto in questo momento?
Non è mia abitudine soffermarmi sui fatti passati e nemmeno vivere di rimpianti. Una volta incassato il risultato e digerita rapidamente l’amarezza per la mia mancata elezione, ho guardato avanti facendo semmai tesoro di questa straordinaria esperienza. Correre per entrare nell’esecutivo federale è molto diverso dall’essere candidato per uno degli altri poteri nei tre livelli del nostro federalismo. È davvero un’esperienza unica perché per centrare questo obiettivo la campagna si gioca su un’altra dimensione. La strategia elettorale non è fatta di cartelloni e di slogan politici: bisogna convincere i membri del Parlamento a sostenerti. E in questo bisogna riconoscere il merito di Ignazio Cassis: negli anni trascorsi nella camera bassa del legislativo federale ha saputo costruire ottime relazioni con i colleghi che poi lo hanno votato.
Ma allora perché l’operazione “Gobbi in Consiglio federale” fallì?
Sicuramente un ruolo determinante lo giocò il PS ticinese che tramò affinché io non venissi sostenuto dal loro Gruppo alle Camere federali. Non è infatti un mistero che l’unico ordine di voto esplicito che allora diede il PS svizzero fu proprio quello di non votare Norman Gobbi. Questo lasciò ampio margine di manovra agli amici romandi che colsero l’occasione per sostenere compatti un terzo Consigliere federale della loro regione. È il gioco delle parti. In tanti allora riconobbero comunque che le mie audizioni davanti ai Gruppi parlamentari furono ampiamente apprezzate. Anche se a conti fatti questo non fu sufficiente: a contare, in questo caso, furono le tattiche dei partiti. Il pieno sostegno dell’UDC fu vanificato dalle tattiche elettorali degli altri Partiti.
Alcuni ebbero da ridire sulla sua adesione all’UDC. Lei, “leghista puro e duro”, si trovò a correre per un altro partito. Come giudicarono questa sua scelta i suoi compagni della Lega?
Nemmeno sul Mattino venni risparmiato da qualche frecciatina (ndr ride). Ricordo ancora con piacere le parole dell’allora presidente Toni Brunner e dell’allora capogruppo Adrian Amstutz che salutarono positivamente la mia candidatura, che coincideva pienamente con la linea politica del Partito. In particolare Amstutz mise a tacere le critiche sul mio essere leghista affermando che anche se io ero da poco tempo membro dell’UDC, il pensiero di Lega e UDC convergeva e converge in molti punti. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con persone alla mano e che in parte conoscevo già, perché prima di far parte del Governo sono stato Consigliere nazionale a Berna per più di un anno. In quel periodo avevo avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con il Gruppo UDC, del quale facevo parte. Chiaramente fui facilitato dalle mie conoscenze dello “Schwiizerdütsch” che mi permisero di entrare in sintonia con tutti.
E come sono oggi i suoi rapporti con l’UDC svizzero e ticinese?
Continuano ad essere molto buoni. Un paio di settimane fa ho anche preso parte all’Assemblea del Partito che si è tenuta a Losone. Ma non sono mancate le occasioni in cui ho partecipato agli incontri organizzati anche oltre San Gottardo. Non si trattava e non si tratta solo di apparizioni di facciata, visto che mi trovo d’accordo con la loro linea su numerosi temi. In questo ultimo periodo mi sono impegnato a difendere l’autodeterminazione, presenziando pure ad alcuni dibattiti politici in Svizzera interna. In Ticino, tanto per citare un esempio, ho proposto l’aggregazione della Tresa che ha visto coinvolto anche il Comune guidato dal sindaco UDC Piero Marchesi.
In fondo non lo ha mai nascosto, lei è uno dei leghisti che maggiormente voleva l’unione della lista con l’UDC. Quanto influisce l’esperienza di allora nella sua valutazione?
Ho sempre manifestato senza indugio che sarei stato favorevole all’unione delle Liste. L’esperienza vissuta ha certamente avuto il suo peso, ma a contare di più sono i molti tratti in comune tra Lega e UDC che mi hanno spinto in questa direzione. Oltre a questo, tra di noi c’è sempre stato un clima di lavoro positivo e costruttivo. La Lega ha una forte anima locale mentre l’UDC è il primo partito nazionale. Sono due movimenti di destra – quindi schierati sullo stesso fronte in molte battaglie – ma che riescono anche a garantire una certa complementarietà.
Quindi l’esperienza vissuta nel 2015 dimostra in fondo che un matrimonio tra Lega e UDC non è impossibile…
Direi proprio di sì, anche perché sarebbe l’ulteriore dimostrazione che le due anime possono coesistere. Non sarebbe stata un’imposizione, bensì un ragionamento a più ampio respiro che guardava fino alle prossime elezioni nazionali, non limitandosi alle elezioni cantonali di aprile. Numerosi sono infatti i temi che condividiamo: il controllo dell’immigrazione, l’autodeterminazione, l’indipendenza del nostro paese, il rifiuto per ogni avvicinamento anche legislativo a quanto impone l’Unione Europea eccetera.
E ora che cosa succederà? È ancora ipotizzabile secondo lei un riavvicinamento “dell’ultimo minuto” tra le parti in vista delle elezioni cantonali?
Dipendesse da me, direi ovviamente di sì per le considerazioni appena esposte. Tuttavia, un percorso di questo genere avrebbe senso sole se potesse contare sul convinto sostegno di tutti. Il motto “l’unione fa la forza” vale anche in politica.
Ma torniamo all’elezione che avverrà tra qualche settimana. Chi pensa abbia più possibilità di essere eletto?
Sarà una bella battaglia. In casa liberale l’esperienza in Parlamento di Karin Keller-Sutter potrebbe favorirla rispetto al rivale Hans Wicki. Dal canto suo Viola Amherd si sta muovendo bene da anni in area PPD e gode di un’ampia esperienza nella camera bassa che potrebbe giovarle, anche se la collega urana Heidi Zgraggen potrebbe rivelarsi la sorpresa.
Ha abbandonato il sogno di diventare un Consigliere federale?
Mi piace vivere giorno per giorno, ma soprattutto sono solito portare a termine quello che inizio, fa parte del mio carattere. In questo momento mi diverto ancora tantissimo a fare il Consigliere di Stato e ho la fortuna di amare il mio lavoro che mi appassiona ancora ogni giorno. Ci sarà da preoccuparsi quando perderò la voglia di lavorare per il bene del nostro meraviglioso Cantone. Per ora, quindi, il mio obiettivo è quello di continuare a portare avanti i tanti cantieri aperti in ambito di sicurezza, di rapporti con i Comuni, della giustizia, della migrazione e del miglioramento dei servizi offerti ai cittadini. E sono pronto a farlo con lo stesso entusiasmo del primo giorno.