Domenica storica in Ticino: la Lega strappa il secondo seggio in governo ai liberali radicali, diventando il partito di maggioranza relativa. In calo anche socialisti e popolari democratici, crescono gli ecologisti.
Il verdetto delle urne – in attesa dei risultati per quanto concerne il parlamento – è chiaro: la Lega dei ticinesi è il primo partito del cantone, con il 30% delle preferenze, e per la prima volta potrà contare su due suoi esponenti – Marco Borradori e il neo-eletto Norman Gobbi – in Consiglio di Stato.
Brace e cenere
Secondo il Corriere del Ticino, si tratta di un risultato «che viene da lontano, da un cambiamento profondo del tessuto che compone la base elettorale: sempre più svincolata dalle logiche che governano e con cui governano i partiti tradizionali; e sempre più incline a premiare chi mostra, anche se in modi a volte discutibili, di essere attento a cogliere e raccogliere le sue inquietudini. Magari soffiando a sua volta sul fuoco, ma con l’indubbia capacità di riconoscere subito la brace, anche sotto la cenere».
In ogni caso, continua, «non si può non leggere il risultato ticinese di domenica nel contesto delle tendenze nazionali, a cominciare da quella alla polarizzazione della scena politica. La ritrovata unità d’intenti fra Lega e Unione democratica di centro da un lato, ma anche il successo dei Verdi [+4%] dall’altro, mostrano che anche il Ticino, a suo modo, segue queste spinte. Ne dovranno tenere conto, volenti o nolenti, anche quei Confederati che troppo spesso dipingono il Cantone italofono come propaggine poco affidabile e contagiata da vizi importati da sud».
Il Corriere del Ticino fa comunque presente «il rischio di impasse […]: se si innescasse […] un meccanismo di ripicche e veti incrociati, in effetti la paralisi sarebbe garantita. Con un rischio di logoramento innanzitutto per la Lega, che non potrà certo muoversi d’ora in poi come si è mossa fin qui. Esaurita l’euforia per la vittoria, la ricerca di nuovi equilibri interni sarà la principale sfida che dovrà affrontare».
C’è Lega e Lega
Il Giornale del popolo considera quella della Lega «una vittoria che forse […] metterà fine al fenomeno dei superindignati a corrente alternata: quelli che, quando la Lega non fa comodo ai loro giochi, si indignano con chi non si indigna perché la Lega esiste».
Inoltre, evidenzia il quotidiano d’ispirazione cattolica, «da tempo si è capito che le guasconate di Bignasca, il linguaggio satirico-gogliardico del suo giornale […] sono una cosa, il lavoro dei suoi uomini politici (peraltro orientati dal fiuto del presidente) un’altra».
Il Giornale del popolo evidenzia poi i gravi problemi del Partito liberale radicale: «La campagna elettorale cui abbiamo appena assistito ha dato uno spettacolo impietoso di come ormai a tenere insieme il “partitone” non potesse essere che un vantaggio di posizione nella pura gestione del potere. Perché mai altrimenti le due cosiddette anime, radicali e liberali, dovrebbero coabitare?»
Un terremoto più o meno previsto
Secondo la Regione, «il terremoto era previsto, ma non di questa magnitudo. Ad originarlo più fattori: sicuramente le effettive incertezze del momento politico e storico, facilmente trasformabili in paure e voglia di ricette muscolose; sicuramente l’eterna doppia natura del movimento, con da un lato la locomotiva istituzionale Marco Borradori e dall’altro il barricadero Nano Bignasca (ora in coppia con l’UDC)».
Quest’ultimo è «un presidentissimo che con un linguaggio chiaro e diretto promette anche la luna alla “gente” usando il tritatutto domenicale, mentre le altre forze politiche si illudono ancora che basti chiedere un atto di fiducia ogni quattro anni, facendo magari riferimento a quanto fatto nei decenni passati, perché il gregge segua il buon pastore. Così non è stato e non sarà più».
Infine, vi è un terzo fattore stando al foglio bellinzonese: «La congiunturale estrema debolezza del Partito liberale radicale, che al massacro ci è andato cantando, accorgendosi troppo tardi del grave pericolo».
Ma anche socialisti e popolari democratici devono riflettere sull’esito del voto: «Il PPD sarà obbligato a decidere da che parte stare in governo. Giuliano Bignasca lo sa benissimo e, visto il ruolo di Beltraminelli, ago della bilancia fra due leghisti da una parte e Sadis e Bertoli dall’altra, dai microfoni della Rsi ha già avvertito l’ex collega di Municipio con termini piuttosto eloquenti».
Ma «anche in casa socialista qualcosa non funziona più per il verso giusto. […] Una parte dei voti è stata evidentemente travasata sui verdi (+4%), che però non volano come altrove sulla spinta dell’effetto Fukushima. I socialisti [..] ora, grazie ad un ministro particolarmente preparato [Manuele Bertoli, primo consigliere di stato cieco], di fronte allo spostamento a destra del baricentro politico, torneranno verosimilmente a fare maggiormente i socialisti e a tentare di riuscire comunque a farsi sentire e a tessere reti di consensi […]. Non ci illudiamo invece che il voto di ieri spinga l’area rosso-verde a raggruppare le forze, invece di continuare a dividersi e a gioire per le altrui perdite».
Lunedì nero per il PLR
Anche la stampa svizzerotedesca e quella romanda hanno seguito con interesse il voto ticinese, coinciso con le votazioni cantonali lucernesi, in cui liberali radicali e popolari democratici hanno perso terreno a scapito di Verdi, Verdi liberali e UDC.
Secondo Der Bund, «il Ticino costituisce un indicatore importante in vista dell’autunno: il partito liberale radicale sarà costretto a guardare in faccia la realtà», una realtà che lo vede in calo in consensi da ormai più di un trentennio. Il trionfo leghista, continua il quotidiano, rappresenta però anche un messaggio anche per l’UDC: «A destra, come si è visto a Ginevra con il successo del Mouvement Citoyens Genevois, c’è posto anche per altri».
La Neue Zürcher Zeitung parla di «Vittoria-tsunami in Ticino», mentre la Tribune de Genève titola: «La Lega fa man bassa di voti», e si chiede se la doppia presenza in governo porterà a un «imborghesimento» del partito. Pure Le Temps sottolinea che si è trattato di una «domenica amara per il PLR».
Andrea Clementi, www.swissinfo.ch