La ricetta dell’angolano Pedro Da Costa, per dieci anni braccio destro del delegato cantonale per gli stranieri di Luca Berti
Stasera una cinquantina di comunità straniere del Ticino si riuniranno sotto un unico tetto, quello della scuola media di Massagno. Sarà l’occasione per scambiarsi opinioni ed esperienze, ma soprattutto per dialogare direttamente con il delegato all’integrazione Francesco Mismirigo e con il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi. Un primo contatto ‘plenario’ con il neoeletto consigliere di Stato, che nelle scorse settimane – comunicando il nuovo assetto della Commissione cantonale per l’integrazione degli stranieri – aveva chiarito di voler dare più spazio alla voce dei rappresentanti degli immigrati nell’organo consultivo del governo (sette membri su 10-15).
Tra i partecipanti all’incontro vi sarà anche colui che per dieci anni ha fatto da braccio destro al delegato all’integrazione.
Pedro Ranca Da Costa vi parteciperà però come semplice cittadino, membro della comunità africana, visto che a fine ottobre ha lasciato l’amministrazione cantonale per andare in pensione. « Mi aspetto che domani (oggi per chi legge, ndr) le comunità pongano domande ed esprimano i loro pensieri al consigliere di Stato », spiega Da Costa.
Angolano, giunto in Svizzera nel 1970, Da Costa ha studiato economia dello sviluppo a Ginevra per poi stabilirsi in Ticino. In quarant’anni di contatto quotidiano con stranieri e ticinesi ha maturato una propria idea su come avvicinare due realtà che ancora oggi non sempre si capiscono, a volte si ignorano e qualche volta si scontrano.
« L’integrazione non è una procedura standard – racconta dal suo domicilio di Bellinzona –. È invece un percorso estremamente individuale che varia da persona a persona. Il successo o l’insuccesso dipendono dall’impegno dell’immigrato, ma anche dagli stimoli che gli si offrono ».
Nel raccontare la sua visione Da Costa parte dalle basi; dalla definizione di integrazione: « Significa anzitutto accettare l’altro, con le sue differenze e i suoi valori. Un processo che vale sia per indigeni sia per stranieri. Chi arriva in Svizzera deve dare il massimo per inserirsi, ma la popolazione residente deve partecipare attivamente allo sforzo ». Già perché, prosegue l’ex collaboratore del Cantone, l’impressione è che il ticinese s’impegni ancora poco. « Intendiamoci – spiega Da Costa lasciandosi sfuggire un sorriso – qualcosa in questi anni si è mosso e certamente gli immigrati devono darsi ancora più da fare per dimostrare di essere persone attive e ben integrate; tuttavia anche gli amici svizzeri possono dare di più ». Un esempio? « È un fatto che in Svizzera le persone che hanno voglia di lavorare e che rispettano le istituzioni sono ben accolte. A loro le porte si aprono più rapidamente che ad altri. Il compito di chi arriva è dunque quello di fare lo sforzo per adattarsi al nuovo contesto. Condizione necessaria, ma non sufficiente se i datori di lavoro continuano giudicare le persone dal colore della pelle ». Certo, aggiunte, « in questo ambito la mentalità è mutata, ma molti imprenditori sono tutt’ora vittime dei pregiudizi ».
Dal canto loro gli immigrati « devono rimanere umili, essere pronti a fare la gavetta ». Da Costa lo sa bene, dal momento che dopo la laurea in economia dello sviluppo conseguita a Ginevra trent’anni or sono ha lavorato per mesi presso il reparto frutta e verdura di una grande catena di distribuzione. « L’amministratore continuava a dirmi che vista la mia formazione accademica ero sprecato in quel posto. Io gli rispondevo che non mi piaceva l’idea di andare a timbrare e che volevo lavorare per guadagnare il pane per me e per la mia famiglia ».
Da anni Da Costa è membro attivo nella Comunità africana del Canton Ticino (Cat) e regolarmente dispensa consigli a chi, appena giunto in Svizzera, vuole integrarsi velocemente: « Ripeto in continuazione che la prima cosa da fare è imparare la lingua del posto, perché solo così è possibile conoscere la gente. È poi necessario apprendere le regole di comportamento e le regole del vivere comune vigenti in Svizzera. Un compito per cui è necessario l’aiuto della popolazione e delle autorità locali ».
Da Costa saluta positivamente la nuova impostazione data da Gobbi al tema dell’integrazione: « È una visione pragmatica: il messaggio che passa è quello che non dev’essere un rappresentante svizzero a parlare a nome degli stranieri, ma loro stessi a comunicare i propri problemi direttamente alle istituzioni ». Diventare proattivi, insomma. Comunicare. Quello che Da Costa spera di vedere prodursi già stasera a Massagno.
‘Prima presa di contatto’
« Sarà una prima presa di contatto generale in cui ci permetteremo di presentare quali sono le idee future per quanto riguarda il settore integrazione ». Così il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi sull’incontro in agenda per stasera a Massagno con una cinquantina di comunità straniere. Idee, quelle a cui accenna Gobbi, già anticipate alla stampa di recente. « Lo spiegheremo direttamente alle comunità . Inoltre vorremmo sapere quali sono le loro preoccupazioni e i loro problemi, nel tentativo di trovare delle soluzioni ».