Porgo a tutti voi il saluto più cordiale da parte dell’Autorità cantonale e del Consiglio di Stato all’Assemblea Generale Ordinaria della Società Ticinese degli Ufficiali a Bellinzona.
Il borgo della Turrita ci ricorda con i suoi castelli l’importanza così come la valenza militare e strategica del nostro territorio, porta di accesso alle Alpi e all’Europa centrale e settentrionale, rispettivamente ingresso privilegiato d’accesso alla metropoli lombarda e al Mediterraneo. Una posizione centrale sull’asse nord-sud che da sempre ci ha visti confrontati a flussi di merci e di persone, a “pressioni” lungo la frontiera e all’esposizione rispetto ad eventi bellici.
Come non ricordare ad esempio l’esperienza milanese dei Confederati di 500 anni fa, che li vide dominatori del Ducato di Milano; esperienza di breve durata, terminata con la sconfitta di Marignano che pose fine alla politica di espansione della vecchia Confederazione, che richiamò alla mente di tutti il monito del nostro patrono nazionale San Nicolao della Flüe: “Machet den zun nit zu wit!”.
Un effetto non secondario di questi accadimenti fu però che le nostre terre, poste a sud del San Gottardo, divennero definitivamente elvetiche. Una politica di neutralità, anch’essa indicata dal patrono nazionale, che permise al nostro Paese di vivere sino alle guerre napoleoniche in tranquillità, benché in povertà, mentre l’intero continente veniva afflitto dalle guerre del Seicento e del Settecento. Una povertà economica ma non culturale, visto il ricco bagaglio di luoghi di culto largamente addobbati e dipinti con opere barocche.
Le nostre terre, in epoca ottocentesca, palesarono le difficoltà con il vicino lombardo, o meglio austroungarico. Infatti, dopo i castelli medievali, le prime fortificazioni – sempre lungo l’asse nord-sud – furono i cosiddetti “Fortini della fame”, frutto di un piano occupazionale per i cittadini ticinesi espulsi dal governatore della Milano asburgica, il Feldmaresciallo Radetzky, in un periodo di aspro confronto con il vicino austroungarico. È sempre utile leggere la storia, poiché spesso ci indica la ricorrenza di eventi e fatti che, in mutate situazioni, si ripresentano anche ai giorni nostri.
L’accusa lanciata dal Feldmaresciallo al Governo ticinese era quella di dare rifugio e asilo ai sovversivi anti-austriaci e causò l’espulsione di seimila ticinesi e il blocco commerciale tra il Ticino e il Lombardo-Veneto. Radetzky passò dalle parole ai fatti e in breve tempo espulse tutti i ticinesi residenti nei territori occupati dagli austriaci. Dall’oggi al domani migliaia di famiglie persero la casa e ogni mezzo di sussistenza. Il 6 ottobre 1848 il Gran Consiglio ribadì la sua piena approvazione all’operato del Governo cantonale. Stefano Franscini dichiarò: “Radetzky credette, con questo gran colpo, di portare la guerra civile nel Cantone; invece il popolo soffre, ma in pace”. E il colonnello Giacomo Luvini Perseghini, fondatore della STU e personalità della politica ticinese di metà Ottocento, affermò: “Occorre dimostrare che il Ticino non è una provincia austriaca”. Berna, troppo lontana dal teatro dei fatti, ebbe difficoltà a capire ciò che stava succedendo.
Molti confederati, succubi della propaganda austriaca, non solo credettero che il Cantone appoggiasse l’attività dei “sovversivi” lombardi, ma pensarono addirittura che mirasse all’indipendenza. Cosí, nel novembre del 1848, il Consiglio nazionale fu teatro di un’aspra discussione nel corso della quale il Governo ticinese fu oggetto di accuse gravissime. Il generale Dufour fu uno dei pochi a capire la situazione. Cercando di calmare gli animi, disse “Lasciamo risolvere con fiducia questa situazione al Governo ticinese ed esso adempirà certo il suo dovere, come in realtà ha sempre fatto”. Ma la tregua durò solo pochi mesi.
Il 10 gennaio 1849, infatti, al Cantone fu recapitata una nuova nota del Consiglio federale che ricalcava tutte le accuse formulate da Radetzky. La risposta del Governo ticinese fu ferma e dignitosa: “II Consiglio federale ha preso le asserzioni di un generale straniero come espressione della pura verità, mentre sembra a noi, Governo e Popolo di un Cantone svizzero, che avremmo avuto almeno il diritto di essere sentiti”.
Riferimenti a fatti dell’odierna quotidianità sono puramente casuali…
Non casuale è però il riferimento storico, poiché da quest’anno agli Ufficiali ticinesi che hanno terminato i loro obblighi militari viene consegnato dal Dipartimento delle istituzioni una riproduzione di una stampa del 1831, con la quale il Governo cantonale organizza le prime forze militari ticinesi su richiesta della Dieta federale, a seguito dei moti europei del 1830-1831. La stessa “grida governativa” è firmata dal Presidente del Governo Antonio Luvini, padre del fondatore della STU, e dal Segretario di Stato Stefano Franscini.
Ticino, territorio di frontiera, territorio di scambio e in taluni periodi territorio di tensione. Anche durante i conflitti tra Piemontesi sabaudi e Lombardi austriaci vi furono conseguenze per il nostro territorio, preservato però nel Primo conflitto mondiale, che ebbe inizio nell’estate di 100 anni fa. Evento bellico che ebbe il pregio di rinfrancare l’identità ticinese, e ancor di più nella Seconda guerra mondiale. Col motto “Liberi e Svizzeri!”.
Una lealtà che, nonostante tutto, venne mantenuta e rimane ancora oggi un fermo punto. Da un lato la forte presenza e attività di Ufficiali e Sottufficiali ticinesi nei comitati svizzeri delle rispettive associazioni nazionali. Dall’altro, il voto ticinese chiaro sui dossier militari, che speriamo possa essere confermato anche domani nelle urne. Un impegno che ha visto la STU e il suo già presidente col SMG Marco Netzer in prima linea anche a livello federale nel lottare contro l’abolizione dell’obbligo di servire; una vera e propria battaglia vinta a tutto campo.
Anche il Dipartimento delle istituzioni e il suo Direttore sono un elemento di questa promozione degli interessi militari ticinesi. Certo, il fatto oggi di presiedere la Conferenza governativa per gli affari militari, la protezione civile e i pompieri, mi permette di essere a costante e diretto contatto con i vertici del DDPS e dell’Esercito. Ma ciò non basta. Bisogna essere affidabili e pronti ad agire, non solo a parole. Penso all’impegno profuso in questi ultimi anni dal Dipartimento, e per esso dalla Sezione del militare e della protezione della popolazione, nel voler migliorare le condizioni quadro per poter accogliere ancor più truppe per i loro corsi di ripetizione in Ticino. Ci stiamo riuscendo e cito volutamente il fatto che dopo 10 anni, il bat fant mont 30 presterà nuovamente il suo servizio “a casa”.
L’impegno sta anche nel mettere a disposizioni Ufficiali, di milizia e di professione, con spiccate capacità e alti profili. E questo vale a maggior ragione per incarichi a livello di comandi. Scuole e Grandi unità sono un obiettivo strategico che sostengo personalmente e mi impegno in prima linea nel promuovere. Fortunatamente nel 2013 abbiamo potuto contare su personalità dell’Ufficialità ticinese che si sono messe a disposizione per questi incarichi, che hanno dimostrato come un Cantone di medie dimensioni come il nostro sappia offrire profili diversi e di qualità, in grado di assumere tali incarichi. Tutto questo impegno è stato però premiato.
Innanzitutto l’Ufficialità della Svizzera italiana ha mantenuto il suo rappresentante, con la nomina e la promozione a Brigadiere di Maurizio Dattrino. A lui i migliori auguri di saper affrontare questa sfida col giusto spirito, soprattutto nel rappresentarci nella Generalità elvetica nella quale siamo evidentemente sottorappresentati. Colgo in questa sede nuovamente l’occasione per ringraziare il suo predecessore, Brigadiere Stefano Mossi, per quanto fatto nei suoi sette anni di comando e per quanto ora farà nuovamente per la comunità, in qualità di Direttore del Servizio dei ricorsi del Consiglio di Stato.
Il Ticino è tornato poi ad essere terra di corsi militari. È infatti notevole il numero di servizi prestati da diversi corpi di truppa nel nostro territorio. In tal senso è importante poter contare su infrastrutture adeguate per l’alloggio della truppa. La Sezione del militare sta operando in questa direzione e presto ci saranno anche delle novità interessanti, che rafforzeranno il Ticino quale terra di servizio militare.
Infine, ma non certo per importanza, il Ticino è riuscito a salvaguardare le proprie posizioni nel complesso lavoro del concetto di stazionamento pietra miliare dell’Ulteriore sviluppo dell’Esercito. Il Ticino ha mantenuto le Scuole sanitarie, granatieri e piloti, il Comando delle forze speciali, il Centro di reclutamento e l’indispensabile Centro logistico. L’ordine era “tenere” e abbiamo tenuto, anzi: nei prossimi anni sono previsti importanti investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture o nella realizzazione di nuove strutture. Garanzia di centinaia di posti di lavoro e investimenti milionari che sono un’ampia ed esauriente ricompensa per il lavoro al fronte nella promozione degli interessi ticinesi nella Difesa nazionale.
Questi risultati li abbiamo ottenuti grazie al lavoro e all’impegno di tutti. Anche del nostro Sovrano, che auspico sappia rimanere fedele alla sua linea a sostegno delle nostre Forze armate anche nelle urne di domani.
Viva l’Esercito, viva la Svizzera, viva il Ticino.
Discorso pronunciato dal Consigliere di Stato Norman Gobbi
in occasione dell’Assemblea Generale Ordinaria della Società Ticinese degli Ufficiali (STU)
17 maggio 2014 – Bellinzona, Espocentro
– Fa stato il discorso orale –