Alle Camere federali soffia un vento nuovo nell’ambito dei rapporti con l’UE. Un segnale concreto in questo senso è giunto settimana scorsa quando il Consiglio degli Stati ha accolto la mozione presentata dal deputato al Consiglio nazionale Christophe Darbellay con la quale si chiede al Consiglio Federale di interrompere con effetto immediato i negoziati con l’UE per un accordo di libero scambio nel settore agroalimentare. Un simile risultato è apprezzabile.
La politica federale ha finalmente iniziato a prendere coscienza del fatto che, tutelare il proprio mercato interno dagli effetti distorsivi derivanti da una liberalizzazione generalizzata di un settore complesso e dagli equilibri delicati come quello agroalimentare, è un dovere se si vogliono preservare importanti valori svizzeri!
L’Accordo di libero scambio oggetto dei negoziati tra il Consiglio federale e l’UE permetterebbe sì di immettere sul mercato interno prodotti alimentari a prezzi più economici, ma a quale costo?
L’economia agricola svizzera opera in un contesto completamente diverso e più disagevole per rispetto a quanto avviene negli altri Paesi europei; le condizioni territoriali e climatiche più gravose e sfavorevoli: le severe normative in ambito ambientale rispettivamente in materia di protezione degli animali e non da ultimo gli alti costi di produzione svantaggiano in partenza l’agricoltura svizzera. Tutti questi fattori incidono in maniera preponderante sul prezzo finale del prodotto agricolo offerto dai contadini svizzeri, rendendo di fatto impossibile competere con i prezzi praticati a livello europeo.
Un Accordo di libero scambio in ambito agroalimentare avrebbe effetti devastanti sulle piccole e medie aziende agricole attive in Svizzera e ne minerebbe la loro esistenza. Per le ragioni appena citate i molti agricoltori di montagna non potrebbero sopravvivere alla spietata concorrenza esercitata dagli agricoltori europei che svolgono un’agricoltura intensiva e fortemente industrializzata a costi di produzione molto più bassi.
Limitare la discussione ad una questione di prezzo è pertanto riduttiva: il tema della politica agroalimentare è molto vasto e complesso e va considerato in tutti i suoi aspetti. A maggiore ragione, se l’incidenza del minor costo agroalimentare dopo la liberalizzazione sarebbe stato solo del 3-7% sul prezzo della gastronomia offerta nei ristoranti. Poco o nulla rispetto al valore aggiunto garantito dalla nostra agricoltura e del valore di marketing offerto dal principio del “chilometro zero”.
La Svizzera ha bisogno dei suoi contadini; essi danno molto in termini di valore aggiunto al nostro Paese e sono fondamentali per il turismo. Il contributo dell’agricoltura è difatti multifunzionale: tra i suoi molteplici compiti vi sono la garanzia di parte dell’approvvigionamento alimentare interno, la produzione di prodotti di alta qualità, la conservazione delle tradizioni e la cura del paesaggio.
Norman Gobbi, CdS