A cinque giorni dalla brutale strage e dai successivi ed altrettanto brutali eventi avvenuti a Parigi, i quesiti che si pongono sono sempre più numerosi. Dal perché i servizi francesi abbiano interrotto i controlli sui fratelli Kouachi circa sei mesi fa, poiché non ritenuti pericolosi, all’opinabilità delle inevitabili teorie complottiste sollevate da alcuni. Una situazione imprescindibile, come accade sempre dopo dei fatti violenti e incivili che colgono tutti di sorpresa nel nostro vivere quotidiano, ormai convinti che si possa controllare e prevedere tutto. Una situazione che riaccende la discussione sull’eterno ed instabile equilibrio tra due elementi molto cari a tutti i cittadini, due pilastri della nostra democrazia: la libertà e la sicurezza. Un equilibrio nel quale ci si muove da sempre nella storia delle nostre democrazie liberali e che regolarmente si presenta in occasioni come questa, con la domanda se sia necessaria maggiore libertà, col rischio di avere minore sicurezza, rispetto ad una maggiore sicurezza, limitando tuttavia alcune libertà fondamentali. Interrogativi cui ognuno di noi può dare una risposta, dopo aver ponderato attentamente ogni elemento.
In Svizzera negli ultimi decenni ci si è molto orientati su una maggior tutela dei diritti fondamentali e delle libertà individuali, in particolar modo sulla protezione della sfera privata, grazie anche a decisioni figlie di eventi di politica interna più che internazionale, e penso in particolare alla vicenda delle schedature venuta alla luce ad inizio anni Novanta. Anche dopo l’11 settembre 2001 l’attitudine elvetica non è cambiata, soprattutto a Palazzo federale. Infatti, la paura del possibile ripetersi di un sistema di schedatura sistematica dei cittadini ai fini di garantire la sicurezza interna è tutt’ora presente. Nonostante allora si vivesse in un sistema di contrapposizione tra blocchi, la situazione odierna è evoluta verso un confronto asimmetrico e non tra Stati o blocchi di Stati, e quindi imprevedibile; ma l’atteggiamento federale non è mutato nel tener fede a quanto deciso più di vent’anni fa.
Sono passati quasi dieci mesi da quando partecipai all’audizione della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale sulla proposta di nuova Legge federale sul servizio informazioni in rappresentanza della Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia. Dieci mesi senza che il Consiglio nazionale abbia ancora deciso nulla. Il nuovo testo legislativo permetterebbe – finalmente – di assumere e conservare informazioni su persone potenzialmente pericolose per il nostro Paese e le altre Nazioni. Non dobbiamo infatti chiudere gli occhi davanti a fatti evidenti, ossia che il poter raccogliere informazioni solo dopo che un reato venga commesso o un potenziale reato venga ipotizzato sia ormai superato dagli eventi che, dopo l’11 settembre 2001, hanno contraddistinto questi tre lustri del nuovo millennio. La nuova Legge federale sul servizio informazioni, così come la nuova Legge federale sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazoni, pure pendente davanti al Consiglio nazionale, autorizzano delle misure efficaci di acquisizione di informazioni, limitando alcuni diritti fondamentali e libertà individuali. Il cittadino comune nulla dovrà tuttavia temere: il sistema di vigilanza su servizi segreti e autorità di polizia è già oggi talmente alto e con le due citate leggi, va precisato che le nuove misure saranno soggette ad autorizzazione da parte di un’autorità giudiziaria e di un’autorità politica. I diritti fondamentali e le libertà individuali dei cittadini verranno quindi tutelati.
La situazione è seria e deve farci riflettere. Il pericolo con questo stallo nell’adozione di basi legali efficaci che permettano una più incisiva attività di intelligence, è che il nostro Paese possa essere maggiormente esposto ad attacchi simili a quello di Parigi, così come che si debba dipendere dai servizi esteri per garantire la nostra sicurezza interna. In questo eterno oscillare tra libertà e sicurezza, la bilancia oggi deve pendere per una maggiore sicurezza, proprio per l’alta imprevedibilità di questi attacchi. Dobbiamo quindi limitare la libertà di alcuni, per la sicurezza di tutti.
Norman Gobbi
Pubblicato su LaRegione Ticino, 12.01.2015