Dal Giornale del Popolo | Viene meno l’ultimo ostacolo che si frapponeva alla firma del testo tra Svizzera e Italia.
Addio all’obbligo di presentare l’estratto del casellario giudiziale per i lavoratori stranieri che chiedono rilascio e rinnovo dei permessi di dimora (B) e per lavoratori frontalieri (G). A deciderlo è stato ieri il Consiglio di Stato, che ha di fatto eliminato l’ultimo ostacolo oggettivo che si frapponeva alla firma del nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri tra Svizzera e Italia. Una decisione attentamente ponderata, quella dell’Esecutivo, che non ha comunque evitato le spaccature interne, con il fronte leghista compatto nell’avversare l’eliminazione del casellario. Al suo posto tornerà la richiesta per il lavoratore di fornire un’autocertificazione e, su base volontaria, anche un certificato penale. In casi particolari poi, precisa il Governo, sarà comunque possibile richiedere il casellario. Il passo indietro del Governo è volto a rendere più rapida la firma dell’accordo che dovrebbe stabilire un nuovo quadro normativo, migliorando l’attuale regime d’imposizione per i lavoratori frontalieri e sostituendo di fatto il documento varato nel lontano 1974.
Lega e UDC furiosi
La decisione dell’Esecutivo ha mandato letteralmente su tutte le furie la Lega dei Ticinesi, che parla di «tradimento» della volontà dei cittadini e del Parlamento, di un indebolimento della credibilità ticinese a Berna, dove la deputazione si è impegnata a difesa delle due iniziative cantonali sul tema, e di una perdita di sicurezza per il Cantone. Secondo il movimento di Via Monte Boglia, inoltre, l’Italia non sarebbe molto intenzionata ad arrivare a una firma dell’accordo. E del resto la nuova normativa «non sarebbe così interessante nemmeno per il Ticino», che perderebbe così la possibilità di bloccare i ristorni, vedendo andare in fumo un valido strumento di pressione politica nei confronti della vicina Italia. Anche il presidente dell’UDC, Piero Marchesi, si è espresso duramente, non mancando di criticare il Consiglio di Stato: «Il Governo ticinese interrompe una procedura che ha permesso di conoscere, anche penalmente, chi vuole vivere in Ticino. Una misura che non dovrebbe essere neppure in discussione perché fa parte dei controlli minimi che uno Stato deve attuare per garantire la sicurezza interna del Paese. Ovviamente il Governo ticinese si è piegato, ancora una volta, di fronte alle pressioni di Berna e di Roma. Cosa si inventeranno per non firmare? Il nostro ticinese è un Governo debole, molto molto debole».
Le mosse italiane
Da parte italiana a più riprese era stata chiesta l’eliminazione del casellario giudiziale, considerata una misura discriminatoria nei confronti dei lavoratori della vicina Penisola, pena la mancata firma dell’accordo. Eliminato l’ostacolo dovrebbero quindi appianarsi le divergenze e portare Roma a firmare il documento in tempi ragionevoli. Se la situazione appare ormai sbloccata, potrebbe essere ora l’instabilità politica italiana ad allungare i tempi, e in questo senso molto dipenderà dalla data scelta per le prossime elezioni nazionali. I bene informati sostengono che una firma ufficiale potrebbe arrivare già entro agosto, ma perché l’accordo possa entrare in vigore dovrà passare al vaglio dei due rami del Parlamento italiano (Camera e Senato), chiamati alla stesura degli accordi attuativi, con i lavori che potrebbero durare un paio di anni, facendo slittare l’entrata in vigore al 2019 o al 2020.
Vacilla l’armonia all’interno del Governo
«Un anno fa ci eravamo impegnati con il consigliere federale Maurer per trovare una soluzione alternativa che fosse compatibile con il quadro giuridico. L’unica soluzione praticabile si è rivelata essere la presentazione solo volontaria del casellario», spiega il presidente del Governo Manuele Bertoli. «Per noi era prioritario arrivare alla conclusione dell’accordo fiscale e abbiamo quindi deciso di assecondare questa richiesta consci che nel contempo il Consiglio di Stato e il Gran Consiglio hanno proposto che il tema venga trattato da Berna. Contiamo alla fine di poter “salvare capra e cavoli”, ossia da un lato di arrivare alla firma dell’accordo fiscale e dall’altro lato speriamo che Berna possa introdurre la richiesta sistematica di estratti del casellario giudiziario ai cittadini UE che intendono soggiornare o lavorare in Svizzera per tutti i Cantoni, compreso il Ticino». Il timore di Bertoli e colleghi è che, con le elezioni del nuovo Governo italiano alle porte, l’accordo possa saltare dopo anni di trattative: «A breve termine era fondamentale preservare l’accordo. Roma aveva individuato due ostacoli alla firma: l’articolo 121a sulla regolamentazione dell’immigrazione, superato con la legge d’applicazione votata ormai qualche mese fa dalle Camere federali, e il casellario giudiziale. Ora tocca agli italiani fare la propria parte e apporre la firma all’accordo». Ma l’addio al casellario, come detto, non ha fatto l’unanimità dei consensi in seno al Governo, con i ministri Gobbi e Zali, fortemente contrari alla proposta di rimuoverlo. Una rottura che però non sembra preoccupare Bertoli: «Il Governo agisce molto spesso all’unanimità, cercando punti di equilibrio. Non di rado sono io a restare in minoranza, quindi so bene che non sempre è possibile giungere a un compromesso che soddisfi tutti. Posso capire il punto di vista dei colleghi, che però guardano solo al casellario, dimenticando invece la questione dell’interesse del Ticino in materia fiscale». Di parere opposto il collega di Esecutivo Norman Gobbi che non usa mezzi termini: «Da questa decisione il Ticino esce indebolito. E per più ragioni. Il mandato popolare dei ticinesi è sempre stato molto chiaro con votazioni come “Prima i Nostri” o sui contingenti. In sostanza i cittadini hanno chiesto maggiori controlli in ambito migratorio. Una volontà confermata anche dal Gran Consiglio con due iniziative parlamentari approdate a Berna e che abbiamo difeso e per le quali abbiamo ottenuto il sostegno da parte delle commissioni federali». Ma l’abolizione del casellario giudiziale, agli occhi del ministro della Lega, indebolisce il Ticino anche agli occhi dell’Assemblea federale: «Non è semplice spiegare le ragioni per le quali prima introduciamo questa misura e poi la togliamo». L’altro aspetto fondamentale secondo Gobbi riguarda il controllo sull’immigrazione in Ticino. «Nonostante tutto questa misura ha messo in luce tre aspetti: anzitutto che i diretti interessati e cioè i frontalieri non si sono mai opposti. Nessuno, infatti, ha impugnato la richiesta di presentare il casellario. In secondo luogo i ticinesi hanno sempre apprezzato la misura. Tanto più che il Parlamento l’ha fatta propria e portata davanti alle Camere federali. In terzo luogo ha permesso, preventivamente, di tener distante persone non desiderate. Ricordo che su circa 400 casi approfonditi, a 119 casi è stata negata l’autorizzazione di ricevere un permesso. Con questa misura il controllo era sistematico ed efficace e non è stato necessario investire troppe risorse per le verifiche. Ora, con la decisione del Governo, il DI dovrà comunque mantenere alta la pressione sugli arrivi, ma con gli strumenti che abbiamo. E questo nell’interesse del mandato popolare ricevuto», spiega. Infine, il consigliere di Stato aggiunge: «Credo che ogni consigliere di Stato abbia soppesato anche le pressioni ricevute da Berna e, in occasione del voto su questo tema, ha deciso dove porre l’accento. Io e Zali abbiamo scelto di mettere l’accento sul mandato popolare e cioè più controlli in ambito migratorio. Ora la palla è nel campo italiano e dovrà dimostrare che intende rispettare l’accordo».
L’intesa in pillole
Nel dicembre del 2015 Italia e Svizzera avevano parafato il testo, concludendo ufficialmente le trattative sulle questioni di natura tecnica e trovando un’intesa sui contenuti. In prima battuta, la firma ufficiale era attesa nel corso dello scorso anno, in modo da permettere la graduale entrata in vigore dell’accordo a partire dal 2018. Il nuovo accordo – in sostituzione del precedente, vecchio ormai di 40 anni – si applicherà unicamente ai frontalieri di fascia (coloro che risiedono entro la fascia di 20 km dal confine, ndr.), che, gradualmente, verranno equiparati ai fuori fascia. La Svizzera applicherà sul reddito dei frontalieri un’imposta preventiva, pari al 70% di quella applicata oggi. Per fare un esempio semplice: se oggi vengono trattenuti 1.000 franchi di imposta alla fonte, in futuro ne verranno trattenuti 700 come imposta preventiva. Il frontaliere dovrà poi pagare le imposte anche in Italia, un’aliquota che verrà calcolata sull’intero reddito, sottraendo l’imposta preventiva già pagata in Svizzera. Per contro, decadranno i ristorni ai Comuni italiani di frontiera, a cui oggi il Ticino rigira il 38% dell’imposta trattenuta ai frontalieri. Ai frontalieri l’Italia riconoscerà una franchigia di 7.500 euro di reddito, entro i quali Roma non tasserà il lavoratore. Il salasso sarà così per coloro che guadagnano cifre superiori ai 4mila franchi lordi, con decurtazioni fino al 15-20%. Per contro, chi percepisce salari inferiori ai 3mila, andrà incontro solo a perdite marginali. La strada è comunque ancora lunga e bisognerà capire se in sede di ratifica saranno inseriti sconti ulteriori.
Il casellario della discordia
L’obbligo del casellario giudiziale è stato introdotto, quale misura straordinaria, nell’aprile del 2015 per tutti coloro che chiedevano il rilascio o il rinnovo dei permessi B e G. A mente del Governo la misura, lungi dall’avere carattere discriminatorio, è volta a garantire la sicurezza nel Cantone e ad assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico. Secondo i dati aggiornati alla fine di aprile, a due anni dalla sua introduzione le domande totali presentate sono state 47.829. Di queste 47.483 hanno portato al rilascio o al rinnovo del permesso, mentre per le restanti 396 è stato necessario un approfondimento perché sussistevano elementi di natura penale. Infine, in 119 casi il permesso è stato negato o revocato. Nel maggio dell’anno scorso il Governo si era dato un anno di tempo per trovare una misura alternativa al casellario che fosse compatibile con gli accordi internazionali. Anche il Gran Consiglio si era mosso sostenendo un’iniziativa cantonale affinché questo strumento potesse essere esteso a tutti i Cantoni svizzeri. E qualche tempo fa sono arrivati i primi riscontri positivi anche in sede federale, nelle Commissioni del Consiglio degli Stato e del Nazionale.
(Articolo di N. Mazzi e M. Salvini)