Da Corriere del Ticino, di Gianni Righinetti l Ancora pochi giorni e domenica conosceremo i nomi degli otto consiglieri nazionali eletti dai ticinesi per gli anni 2015-2019, mentre per la corsa al Consiglio degli Stati è fortemente probabile che ci voglia il ballottaggio, già in agenda il 15 novembre. Sta per calare il sipario sul secondo appuntamento con le urne di quel trittico che ogni quattro anni scompagina il cantone e fa registrare un’impennata di aperitivi (quelli che una volta si chiamavano comizi), mentre restano intramontabili i santini come pure non va mai in crisi l’ambizione di alcuni candidati che, pur di fronte a una mission impossible, tappezzano il Ticino di cartelloni ammiccanti e promettenti. Ma sognare è sempre legittimo.
Archiviate e ormai digerite le cantonali di aprile, presto finiranno tra i ricordi pure le federali e verrà avviata la macchina per le comunali di aprile 2016. Ma c’è da credere che non finirà lì perché in Ticino la campagna è permanente e l’attualità, politica o meno, non finisce mai di fornire argomenti che dal dibattito scivolano nello scontro. È però tempo di tracciare il bilancio della campagna d’autunno che ha fatto registrate pochi sussulti. La politica ha vissuto una stagione di confusione e omologazione, a conferma che ormai non c’è più una politica federale e una cantonale, ma tutto si mischia, si interseca, formando una matassa molto ingarbugliata. Se in aprile uno dei temi più gettonati era quello dei rapporti tra il Ticino e Berna, alle federali si è parlato tanto dello stesso argomento, ma sull’asse Berna-Roma, con i protagonisti cantonali a giocare un po’ a freccette con il Consiglio federale e la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf. Si sono sentite molte critiche, legittime e sostenibili, mentre praticamente nulli sono stati i tentativi per trovare un guizzo, o quella quadratura del cerchio che spetta ai politici individuare per uscire dalle situazioni d’impasse. Il solo a dire ciò che molti ticinesi pensano è stato il presidente del Governo Norman Gobbi, pronto a chiedere l’abbandono del tavolo della trattativa con l’Italia, ma l’Esecutivo ha deciso di non seguirlo ritenendolo un colpo gobbo e bollando le sue dichiarazioni con un semplicismo di moda: «Ha parlato a titolo personale». Lo aveva fatto anche Manuele Bertoli dando eco al «rivotiamo» sul 9 febbraio nel ruolo di presidente, ora parla Gobbi. E domani a chi toccherà? Un Governo di concordanza che parla al singolare è ormai l’ultimo dei paradossi del nostro sistema.
Per la corsa al Consiglio nazionale, mentre i partiti fanno sfoggio di termini quali fair play, squadra e qualsiasi cosa accada la risposta standard è «nell’interesse del partito», tra i candidati va ormai per la maggiore quello che si potrebbe definire il festival della riga, con molti sgambetti conditi con una buona dose di ipocrisia. Le regole del gioco sono chiare e messe nero su bianco: l’elettore che sceglie la scheda di un partito che ha deciso di schierare otto candidati, occupando tutte le caselle a disposizione, non ha molte alternative. 1) Vota scheda secca. 2) Riga uno o più candidati per assegnare voti preferenziali a candidati di altri partiti scrivendo di suo pugno numero e nome. 3) Riga uno o più candidati per doppiarne altri della stessa lista, attribuendo così un evidente vantaggio competitivo al prescelto. I partiti a gran voce chiedono di non disperdere preferenziali agli avversari, ma ai ticinesi il panachage piace eccome, un po’ per amicizia, stima o semplicemente perché la trasversalità all’interno dei partiti fa sì che, pur trovandosi sotto bandiere diverse, certi politici manifestino un credo molto simile, quando non fotocopia. La rigatura, detta anche «livragazione», è possibile solo per le federali, specificatamente per l’elezione del Consiglio nazionale; l’invito alla rigatura da parte dei candidati a svantaggio degli altri colleghi di lista si è fatto sempre più disinvolto. Un tempo il messaggio lo si faceva circolare in famiglia, tra le cerchie di amici o all’interno delle lobby per premiare i propri rappresentanti. Ma, se è vero che i muri sono fatti per essere abbattuti e le frontiere superate, oggi l’uso della riga viene promosso in gran scioltezza. I social network sono la cassa di risonanza usata in queste elezioni da un buon numero di candidati che si difendono affermando di non sollecitare la rigatura di qualcuno in particolare, bensì di descrivere in maniera asettica e inattaccabile come funziona il sistema di voto. Vero, ma quello che omettono di dire è un’altra semplice realtà. Per avere un reale e fattivo vantaggio non basta cancellare il cosiddetto «candidato riempitivo o alibi», ma il concorrente diretto per l’ambita poltrona. La riga in passato ha fatto vittime illustri ed è stata al centro di regolamenti di conti post elezioni. Anche se tutti parlano di squadra pare evidente che quello della riga sta diventando un festival senza quasi più freni inibitori.