La sicurezza è un investimento

La sicurezza è un investimento

Intervista a Matteo Cocchi, neopresidente della CCPCS

Nel corso dell’assemblea annuale della Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali svizzere (CCPCS), Matteo Cocchi (Comandante della Polizia cantonale ticinese) è stato nominato  presidente, in sostituzione di Mark Burkhard, Comandante della Polizia cantonale di Basilea Campagna. Una posizione di prestigio, che per la seconda volta è occupata da un comandante ticinese. Il primo è stato il Comandante Giorgio Lepri dal 1966 al 1969. Nell’intervista al police, spiega i suoi piani futuri.

Matteo Cocchi all’interno della CCPCS ha già svolto diversi incarichi di prestigio. Dal 2013 ha occupato la posizione di vicepresidente, ed è stato responsabile per l’ambito «polizia di sicurezza» (vedi nota 1) in seno al comitato. Dal 2013 al 2024 ha rappresentato la Confederazione nella rete europea ATLAS (vedi nota 2) e ha diretto i corsi dedicati ad agenti dei gruppi speciali in ambito ISP (Istituto Svizzero di Polizia).
Presidente Matteo Cocchi, lei assume la carica in un periodo storico molto complesso e si può dire anche delicato. Ad esempio, è ritornata negli ultimi tempi la minaccia rappresentata da terroristi che eseguono attacchi isolati. I flussi migratori di persone che provengono da zone di conflitto e povertà, costituiscono anch’essi fonte di molte preoccupazioni, in particolare laddove non vi è integrazione, oppure dove i migranti e loro connazionali di seconda generazione (fortunatamente la Svizzera al momento sembra non conoscere il fenomeno) si uniscono formando bande criminali che delinquono con molta disinvoltura, attaccando molto spesso anche le forze di polizia che intervengono per cercare di ristabilire l’ordine o assicurare delinquenti alla giustizia. A tutto questo e molto altro, si aggiungono le attività delle organizzazioni criminali, che da molti anni ormai non conoscono confini e che colpiscono anche la Svizzera, soprattutto nel traffico di sostanze stupefacenti, nel riciclaggio di denaro, ma anche come base logistica dalla quale operare nel resto del mondo in modo «indisturbato ». Seppur vero che la lotta contro le organizzazioni criminali ricade nelle competenze delle autorità federali di perseguimento penale, i cantoni in questo ambito svolgono comunque un ruolo fondamentale e sono per questo sollecitati.
In questo contesto così complesso, nel quale molte polizie svizzere sono anche confrontate con sovraccarico di lavoro e carenza di personale, la Svizzera è chiamata a gestire tutto quanto accade all’interno dei propri confini, tenendo però conto di un contesto internazionale molto dinamico, che ogni giorno potrebbe generare problemi alla sicurezza interna.

Presidente Matteo Cocchi, iniziamo chiedendole come si sente in questo prestigioso ruolo in seno alla CCPCS, che è sicuramente motivo d’orgoglio per il corpo della polizia e tutti noi ticinesi.
È un onore assumere la presidenza della CCPCS e una responsabilità che ho accolto con determinazione. Il mio obiettivo sarà quello di rappresentare al meglio tutte le polizie cantonali svizzere, garantendo che il loro lavoro venga valorizzato e supportato in maniera adeguata. Il contesto attuale pone sfide importanti, ma sono convinto che grazie alla collaborazione tra i vari corpi di polizia e al costante impegno di tutti, riusciremo ad affrontarle con efficacia. In questo contesto collaborazione e condivisione di esperienze sono le basi per poter continuare sulla via tracciata negli ultimi anni.

Questa sua nuova funzione comporterà certamente molti oneri, sia dal punto di vista del suo impegno in tempo, ma anche nell’obiettivo di dare risposte concrete ai principali scopi che persegue la CCPCS. Come si è organizzato o si organizzerà tra la funzione di Comandante della polizia ticinese e Presidente della CCPCS?
La presidenza della CCPCS è un incarico di coordinamento e rappresentanza che si affianca alla mia funzione di Comandante della Polizia cantonale. In realtà, questo avviene seguendo il solco di quanto avvenuto sino ad ora, in rapporto agli incarichi che ricoprivo sino allo scorso anno e che mi hanno impegnato anche fuori dai confini cantonali.

Tra gli obiettivi principali della CCPCS vi sono: l’incoraggiamento di scambi, opinioni ed esperienze e la collaborazione tra corpi di polizia svizzeri, l’individuazione di un’unità di dottrina unica e strategie comuni, la formazione di base e continua adeguate alle esigenze e lo sfruttamento di sinergie in tutti gli ambiti di polizia. Partendo da questi obiettivi di base, in quale di questi settori ritiene bisogna investire maggiori risorse e quali sono le sue priorità?
Tutti questi settori sono fondamentali, ma ritengo che la formazione e la collaborazione tra i corpi di polizia siano aspetti prioritari. Le sfide della sicurezza odierna sono sempre più complesse e richiedono un coordinamento efficace tra i diversi attori coinvolti, a fronte della grande mobilità con cui opera la criminalità. Inoltre, investire nella formazione significa dotare i nostri agenti degli strumenti e delle competenze necessarie per affrontare le minacce attuali e future con professionalità ed efficacia. Obiettivo raggiunto con il progetto di armonizzazione della formazione di base della durata di due anni, ora realtà consolidata e riconosciuta. La prossima sfida sarà rappresentata dall’implementazione di un concetto armonizzato circa la formazione dei quadri a più livelli. Progetto che vede l’ISP collaborare attivamente con la CCPCS.

Uno dei temi assolutamente prioritario, di cui si parla da anni, che fatica a decollare anche a causa del federalismo svizzero, ma anche a seguito dei freni sul tema della protezione dei dati, è quello di disporre di una banca dati unica svizzera, accessibile a tutti gli agenti di polizia, in grado di fornire tutte le informazioni raccolte nei confronti delle persone che per qualsiasi motivo hanno interessato le forze di polizia svizzere. Come si pone lei davanti a questo annoso tema e intende in qualche modo accelerare questa imprescindibile necessità?
Per risolvere la problematica dello scambio di informazioni di polizia è necessario lavorare su due livelli distinti: quello tecnico-informatico e quello legislativo. Se per il primo i progetti sono già inizializzati e procedono nella giusta direzione, diverso è il discorso per il secondo, che dipende dai tempi tecnici delle decisioni politiche e di quelle dei tribunali. Infatti per quanto riguarda il quadro giuridico vi sono tre «varianti parallele» che si potranno percorrere: quella federale con la creazione di una base legale adeguata, quella intercantonale attraverso la creazione di un concordato specifico, quella cantonale con l’adeguamento delle basi legali all’interno delle leggi cantonali di polizia.

Ad ogni livello delle politiche federali e cantonali si sente parlare con una certa insistenza di misure di contenimento delle spese, che di certo non risparmiano nemmeno il settore della sicurezza e in particolare della polizia. Infatti, il Consiglio federale ha deciso di sgravare le finanze federali di 180–200 milioni di franchi nel periodo 2026–2028, 100 milioni dei quali nell’ambito delle assunzioni di personale. Anche la politica ticinese si è mossa in questa direzione, da un lato con importanti misure di risparmio che toccano anche il personale e dall’altro con l’iniziativa popolare interpartitica, che chiede di limitare il personale statale all’1,3 % della popolazione. Come giudica questa politica in ottica di sicurezza e cosa vorrebbe dire agli organi politici federali e cantonali, rispetto a tagli sul personale di polizia?
La sicurezza è un investimento e non un costo. È chiaro che l’equilibrio finanziario sia una priorità per le autorità politiche, ma è altrettanto essenziale garantire alle forze di polizia le risorse necessarie per operare efficacemente e per poter far fronte ai nuovi compiti derivanti anche dalla rapida evoluzione della società e di riflesso anche della criminalità. Tagliare indiscriminatamente i fondi alla sicurezza potrebbe avere conseguenze negative nel lungo periodo. È importante trovare un giusto compromesso tra sostenibilità finanziaria e garanzia della sicurezza pubblica, assicurando il corretto ricambio generazionale e la continuità nel personale a disposizione.

Una delle strategie per ovviare in qualche modo al problema della scarsità di risorse, in particolare nel settore delle indagini di una certa complessità, potrebbe essere quella di unire le forze tra confederazione e cantoni, laddove le indagini perseguono interessi comuni. Fondamentalmente, come avviene in alcuni casi attualmente in corso, inquirenti federali e cantonali lavorano nelle medesime indagini, le quali perseguono lo scopo di smantellare organizzazioni criminali che a cascata generano problemi anche sui territori dei cantoni e dei comuni. Come vede lei questo approccio e ritiene che sia giusto unire le forze allo scopo di colpire il crimine nel punto più alto della loro gerarchia, piuttosto che continuare a concentrare tutte le forze di polizia cantonale o comunale su «reati di strada»?
La collaborazione tra Confederazione e cantoni è già una realtà consolidata da diversi anni. Lo dimostrano differenti inchieste e i costanti impieghi intercantonali a supporto della sicurezza nei quali la polizia cantonale si è sempre impegnata. Le organizzazioni criminali operano senza confini e la risposta delle autorità deve essere altrettanto coordinata. Lavorare insieme su indagini di grande portata permette quindi di sfruttare al meglio le competenze e le risorse disponibili, aumentando l’efficacia della lotta alla criminalità. È importante che questo venga fatto all’interno delle rispettive competenze e negli anni, la polizia cantonale si è fatta più volte promotrice anche al di fuori dei propri confini.

In una recente intervista, sia il Procuratore generale della Confederazione Stefano Blättler, sia la direttrice di Fedpol uscente Nicoletta della Valle, hanno lanciato l’allarme riguardo alla crescente pericolosità e numero di procedimenti penali in ambito di terrorismo e nelle attività delle organizzazioni criminali, le quali, nei paesi vicini, stanno diventando sempre più violente. In questo senso è stato chiaramente detto che il Ministero pubblico della Confederazione e la Polizia federale sono sottodotati e necessitano di conseguenza ulteriori mezzi e personale. Come si pone la CCPCS di fronte a questo allarme?
Queste sono valutazione interne a Ministero pubblico della Confederazione e Fedpol. Dal canto suo la CCPCS continuerà a collaborare strettamente con le autorità federali, nel suo campo di competenza, al fine di garantire una risposta adeguata alle nuove minacce.

Lo scorso 5 gennaio 2025 al confine tra Italia e Ticino, a Chiasso, è stato arrestato un cittadino del Togo, presunto assassino per i fatti avvenuti a Bergamo il 3 gennaio, in cui è stato ucciso un immigrato originario del Gambia. Questo avvenimento ben dimostra i pericoli che corre il Ticino e la Svizzera, anche dal punto di vista della facilità con cui i criminali si spostano da un Paese all’altro. In questo caso i controlli hanno funzionato e il presunto assassino è stato assicurato alla giustizia. Dal suo osservatorio, l’attuale organizzazione della sicurezza interna e dei confini, permette d’intercettare queste minacce con una certa sicurezza e regolarità?
L’arresto di Chiasso dimostra l’efficacia della cooperazione internazionale e dell’operato delle forze di polizia. È però importante ricordare che il rischio zero non esiste. La lotta alla criminalità transfrontaliera richiede un monitoraggio costante e un continuo scambio di informazioni con i partner internazionali, in particolare in un cantone transfrontaliero come il Ticino. 

Nel corso degli ultimi anni la politica svizzera ha deciso d’organizzare sul suolo nazionale eventi di portata internazionale che impattano pesantemente sul settore della sicurezza interna. Mi riferisco in particolare all’Ukraine Recovery Conference tenutasi nel luglio 2022 a Lugano, ma anche alla Conferenza per la pace in Ucraina organizzata nel Canton Nidvaldo nel giugno 2024. A queste si aggiunge il WEF di Davos che richiede sempre più personale di polizia e dell’esercito. Dal suo punto di vista, la politica da sufficienti mezzi alle forze di polizia e dell’esercito per far fronte a questi eventi eccezionali o potrebbe in qualche modo fare di più? 
La gestione di eventi straordinari e di richiamo internazionali richiede un impegno accresciuto da parte delle forze di sicurezza. Il sistema rodato degli impieghi IKAPOL ha dimostrato la sua efficacia, proprio perché permette di dare delle puntuali risposte per quanto riguarda l’impiego di forze da mettere in campo quando necessario.

Alla luce della continua evoluzione del quadro della sicurezza interna, influenzato sempre di più da scelte politiche (vedi ad esempio l’organizzazione di eventi di portata internazionale) e da quanto accade nei paesi a noi vicini, ritiene che il sistema di polizia svizzero, così come è organizzato, risponda ancora alle esigenze di sicurezza interna e sia sufficientemente dinamico per adattarsi ai crescenti bisogni e alle nuove forme di criminalità nazionale e internazionale?
Il sistema di polizia svizzero ha dimostrato di essere solido e affidabile, ma deve continuare ad adattarsi alle nuove minacce. L’evoluzione della criminalità richiede una maggiore flessibilità operativa e un rafforzamento della collaborazione tra i vari attori della sicurezza.

Avendo l’occasione di raggiungere tutti i soci FSFP, come pure diversi lettori del mondo politico e della sicurezza, quale messaggio si sente di trasmettere loro, anche rispetto alle diverse questioni sollevate in questa intervista, che certamente sono per loro fonti di preoccupazioni?
Impegnarsi a favore della sicurezza da un punto di vista professionale richiede impegno e dedizione. Anche se la situazione per il prossimo futuro non è delle più rosee sono sicuro che chi decide di intraprendere questa carriera lo fa con il giusto spirito di sacrificio ed è consapevole delle difficoltà ad essa legata. Colgo quindi l’occasione per ringraziare le donne e gli uomini che in Svizzera si impegnano a favore della sicurezza che, all’estero, in molti ci invidiano.

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1 Tra i compiti della polizia di sicurezza rientrano numerose attività di polizia volte a individuare e contrastare pericoli concreti per la sicurezza e l’ordine pubblico nonché a porre rimedio ai disordini. Nello svolgimento di questi compiti, la polizia presta assistenza alle persone la cui vita o integrità fisica è minacciata, adotta misure immediate in caso di eventi straordinari, provvede alla tutela della sicurezza negli spazi pubblici, nella circolazione stradale e sui corsi d’acqua e corpi idrici pubblici. Infine, la polizia può svolgere attività di prevenzione nelle attuali aree di polizia, con l’obiettivo di aumentare la sicurezza.

2 ATLAS riunisce le unità d’intervento speciali delle forze di polizia degli stati membri. È basata presso il Centro europeo antiterrorismo della centrale di Europol a Den Haag/NL. Garantisce
una risposta immediata a situazioni di crisi che riguardano la sicurezza europea, h24, ogni giorno dell’anno. Vi partecipano 31 paesi, con 38 unità d’intervento, tra cui la Svizzera.

Da Police, organo ufficiale della Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia FSFP