Sul passo del San Gottardo si sono gustati i sapori unici del Medioevo
Salvia fritta, torta di cipolle, testina all’agliata bianca, frittata di verdure, prosciutti, brodetto, pasticci, gelatina di luccio, trotella del Gottardo, arrosto di faraoncella, zabaione, torta bianca al sambuco… Tutto questo ed altro è stato gustato durante un pranzo “medievale “che si è svolto ieri sul passo del Gottardo organizzato da Sapori Ticino.
Tuffo nel passato
Per un giorno è stato rivissuto il leggendario passo, con la sua storia e i suoi sapori, sulla famosa Via delle genti per riscoprire una terra crocevia di culture, dove i confini gastronomici non sono mai esistiti e dove il cibo è un aggregato di storia e tradizioni.La ricca cultura enogastronomica ticinese ha radici molto lontane e il nostro territorio è stato testimone di continui passaggi e cambiamenti perché il cibo ha sempre viaggiato come gli uomini e con gli uomini. Dal passaggio dei primi viandanti nelle gole della Schöllenen a quello delle carovane, sino alle prime automobili, tutte le attuali identità gastronomiche sono il risultato di viaggi e contaminazioni. Una storia segnata da condizioni climatiche e topografiche particolari ma che, grazie allo spirito di adattamento e alla flessibilità umana, ha portato a grandi sviluppi.
Ieri un patrimonio autentico è stato reinterpretato al Ristorante Vecchia Sosta – Museo Nazionale del San Gottardo dagli Chef Dario Ranza (Ristorante Ciani, Lugano), Egidio Iadonisi (Swiss Diamond Hotels, Vico Morcote) e Salvatore Sanfilippo (Ristorante Hotel & Lounge Lago Maggiore, Locarno), coadiuvati dallo chef di casa Paolo Cantatore, che hanno proposto un viaggio enogastronomico alla scoperta di saperi e sapori medievali in una location suggestiva.
Quando la prima “portata”?
Per parlare di vera e propria arte culinaria nel Medioevo bisogna aspet- tare il 1200, quando la ripresa dell’agricoltura, degli scambi commerciali, della vita sociale, culturale ed economica permette anche la rinascita della gastronomia. Inizia così un processo che porterà allo sviluppo della gastronomia moderna, ma sempre condizionato dall’offerta locale, dal clima, dalle tradizioni agrarie e dal ceto di appartenenza. Proprio quando al Gottardo iniziano ad esserci i primi passaggi di mulattieri e pellegrini e i somieri iniziano a utilizzare le soste come deposito a breve termine per le merci in transito.
Ricco menu
Il repertorio del cuoco medievale comprendeva arrosti, zuppe e minestre, salse e conserve. Le carni di animali domestici, di selvaggina o di pesce, venivano bollite o arrostite e poi servite intere o a pezzi, accompagnate da salse. Era una cucina molto complessa, caratterizzata da grandi contrapposizioni. Il divario tra alimentazione quotidiana dei ricchi e dei poveri era molto forte e le occasioni di festa erano l’unico momento in cui questo divario diminuiva.
E ieri?
È stata un’occasione di festa anche ieri grazie alla capacità degli chef presenti di reinterpretare i gusti del passato e all’organizzazione moderna delle cucine. Con Dario Ranza, grande conoscitore della cucina antica, soprattutto delle ricette del cuoco ticinese Maestro Martino di fine 1400, considerato il primo cuoco moderno della storia, anche gli altri cuochi hanno scoperto gli usi e costumi gastronomici medievali presentando un banchetto originale con erbe e spezie che contribuivano a creare una tavola anche multicolore. Gli ospiti, ovviamente, hanno ricevuto attenzioni che nei secoli passati non c’erano, soprattutto nelle zone alpine. Anche nelle situazioni migliori, all’epoca, sulle tavole in legno ogni posto era contrassegnato semplicemente da un cucchiaio e una alta fetta di pane che assorbiva anche i sughi. Il piatto era comune e solo il coltello era presente singolarmente. Zuppa e pane erano la base dell’alimentazione quotidiana.
Tutto dalla terra
I cereali più consumati erano segale, orzo, grano saraceno, miglio e avena. La farina più fine era molto costosa e veniva riservata alla produzione di pane per i nobili. Il pane per la gente comune era scuro, ricco di crusca e realizzato con una farina macinata grossolanamente. In periodi di scarsità di cereali venivano impiegati sostituti come noci, castagne, legumi secchi, ghiande, felci o qualunque altra materia vegetale potesse essere preparata come farina. I vegetali più diffusi erano i legumi, il cavolo e le cipolle. Gusto predominante era l’agrodolce, con grande utilizzo di spezie (zenzero, pepe lungo e pepe rotondo, cannella, cumino, noce moscata, chiodi di garofano e tante altre ancora), miele, aceto e agresto estratto dall’uva ancora acerba. La carne poteva costare anche 4 volte il prezzo di un peso equivalente in pane, mentre il pesce poteva arrivare fino a 16 volte. Come carne il vitello era raro perché costoso da allevare. Anche il pesce era un alimento molto costoso nelle regioni più interne e difficilmente consumato dalla gente comune. Nel nostro territorio i pesci d’acqua dolce più consumati erano carpe, lamprede, trote, lucci e persico.
I latticini
Anche il formaggio costituiva un’importante fonte di proteine animali. Quello che non mancava mai su tutte le tavole era il vino. Allungato con acqua e con mosto cotto, imbevibile se paragonato ai vini odierni a causa della cattiva conservazione, reso più aromatico con l’aggiunta di spezie e di frutta quali miele, zenzero, cannella, chiodi di garofano, frutti di bosco e altro ancora. Non si è dovuto ieri invece allungare i vini proposti come il Belvedere di Castello Luigi e il Carato della cantina Delea, serviti unitamente alla Ciao Birra Ticino Blond Ale. Oggi certi metodi di cottura come l’affumicatura o l’essicazione sono strumenti di gusto, in passato erano metodi di conservazione indispensabili, come il ricorso al sale, che non solo rendeva più gustosi i cibi ma, prosciugandoli, li rendeva secchi, più durevoli nel tempo. Altre tecniche di conservazione si affermarono ricorrendo all’olio, all’aceto, al miele e allo zucchero o come la fermentazione che, assieme alla salatura, era impiegata in prodotti quali salami e prosciutti.
Lunghe cotture
Anche le cotture lunghe furono caratteristiche della cucina medievale. La pasta era cotta fin quasi a spappolarsi o usata come contenitore, come i ravioli presentati da Salvatore Sanfilippo. Il bollito fu per secoli un tipo di alimentazione tipico dei ceti popolari, mentre l’arrosto e le carni in generale – ottenute con l’utilizzo di griglie o spiedi – era prerogativa delle mense signorili, presentate questa volta da Dario Ranza e Egidio Iadonisi. I Pasticci, come la torta bolognese preparata da Paolo Cantatore, erano varie preparazioni fatte con ingredienti diversi, di solito racchiusi in un involucro di pasta e poi cotti al forno (inteso come cottura diretta sul fuoco con una padella o pasta come base): verdure, a volte un po’ di carne, fette di pane inzuppate di brodo, uova sbattute (talvolta solo il tuorlo), erbe aromatiche, foglie di salvia in abbondanza, gherigli di noci e sale. Tra uno strato e l’altro qualche mandorla, e talvolta, anche le spezie. Grande impiego di uova anche per i pochi dolci che venivano proposti a fine pasto, dove si utilizzava la mandorla, ingrediente molto malleabile, usato spesso come legante.
Il passato che ritorna
Ne è passato di tempo dai primi attraversamenti del Passo del Gottardo e dalla costruzione del Ponte del Diavolo che migliorò significativamente la viabilità del percorso. Ma l’importanza strategica del luogo e della Via delle genti rimane tuttora, come rimane importante la cultura enogastronomica del nostro territorio, sviluppatasi anche grazie ai continui scambi commerciali-culturali iniziati allora.
Lo hanno dimostrato gli chef coin- volti nell’evento di ieri, come lo di- mostrano quotidianamente tanti chef attivi in Ticino.
Articolo pubblicato nell’edizione di domenica 23 giugno 2024 de Il Mattino della domenica