Ha profondamente scosso l’opinione pubblica la tragedia consumatasi la scorsa domenica in valle di Blenio, innanzitutto per la giovane età dei tre protagonisti, poco più che bambini e con un’intera vita davanti: uno di loro ha trovato la morte, gli altri due stanno lottando per la vita, con quelle ostinate risorse alle quali solo il corpo energico di un ragazzino può attingere. Quanto accaduto impressiona anche per la dinamica, talmente anomala e al contempo drammatica da lasciare sbalorditi. «Non si può morire così» è stato il pensiero di tutti noi, e la sensazione condivisa è che, mai come stavolta, abbia concorso alla disgrazia una sottovalutazione del pericolo e delle insidie che la montagna nasconde sempre, in ogni istante, anche quando in cielo splende un sole caldo e l’aria rimane allegra e gradevole pure ad alta quota.
È in una scenografia simile una gioia per gli occhi e lo spirito – che quest’ultimo scorcio di estate si è rabbuiato all’improvviso, e in modo davvero tremendo, per i ragazzi in escursione in valle di Blenio e per gli adulti che avrebbero dovuto sorvegliarli lungo un sentiero impegnativo, se non impervio.
Forse, addirittura, un sentiero che non avrebbe mai dovuto essere imboccato. Al netto delle eventuali responsabilità, questa ennesima tragedia sulle montagne ticinesi cade in una stagione che ne ha viste in soprannumero (e già una soltanto sarebbe di troppo) e non può e non deve essere accolta come una fatalità.
Troppo facile appellarsi al destino, alla sfortuna, alla malasorte di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La verità, amara e ben poco romantica, è che ogni escursione in montagna è una sequela inesauribile di sliding doors, di scelte che possono tenerci in vita oppure no. Valutarle una a una, passo dopo passo, con una soglia dell’attenzione costantemente alta, è il protocollo minimo che dovrebbe conoscere e rispettare chiunque si dedichi a questa attività. Che – occorre ribadirlo – non è affatto «una passeggiata».
Questa la si può fare in città, dando uno sguardo alle vetrine o al lago, salutando gli amici o mangiando un gelato, senza la minaccia di crepacci, ripidi pendii, pietre che si staccano, e non da ultimo di un meteo che, per quanto possano essere accurate le previsioni, può trasformare una giornata estiva in una autunnale nel giro di un quarto d’ora. Le escursioni in quota, e ancor più le ascese sulle cime, alte o basse che siano, vanno dunque prese con grande cautela e serietà, tenendo come stella fissa una convinzione popolare che, finora, non è mai stata smentita: la montagna non perdona.
Anche alle nostre latitudini. In Ticino si è già a otto infortuni mortali in appena tre mesi. Negli ultimi anni hanno perso la vita a sud delle Alpi 4 persone nel 2021, 5 nel 2020, 7 nel 2019, addirittura 11 nel 2018, 4 nel 2017, una nel 2016 e 9 nel 2015. Un saliscendi di decessi impressionante, se pensiamo che la montagna è un’attività per quasi tutti non obbligatoria, in gran parte di svago. Proprio per questo si tende a sottovalutarla, specie quando si è giovani, com’è accaduto domenica scorsa: nessuno dei ragazzi escursionisti, ne siamo certi, è stato sfiorato dalla preoccupazione per il rischio, figuriamoci per la morte. È del tutto naturale e comprensibile alla loro età. Ma proprio qui deve intervenire la vigilanza e la disciplina degli adulti oltre a una costante opera di sensibilizzazione da parte delle istituzioni, affinché giovani e meno giovani non abbiano una visione della montagna falsata.
Scendendo nel pratico, gli esperti della campagna di prevenzione «Montagne sicure » ci offrono a getto continuo alcuni consigli utili, che pare non siano mai abbastanza ribaditi. Facciamolo ancora una volta: per affrontare in sicurezza un’escursione occorre sentirsi bene, avere una buona preparazione fisica e valutare in modo realistico le proprie possibilità atletiche. Scegliere un itinerario idoneo ed evitare uscite individuali può fare la differenza tra l’essere soccorsi oppure no, così come comunicare il percorso scelto ed evitare di cambiarlo all’ultimo momento. Anche separarsi durante il tragitto, come sarebbe avvenuto proprio in valle di Blenio, è sconsigliato. Per qualcuno questi possono essere solo dettagli: ma sono i dettagli, spesso, a salvare la vita.
Quella a cui, mentre leggete queste righe, stanno cercando di rimanere aggrappati con tutte le loro forze due ragazzini di appena 14 e 13 anni, ricoverati all’ospedale Civico di Lugano dopo aver perso, in montagna, un loro coetaneo.
Editoriale di Paride Pelli pubblicato nell’edizione di mercoledì 7 settembre 2022 del Corriere del Ticino