I direttori dei dipartimenti di giustizia
Norman Gobbi e colleghi cercano soluzioni in ambito penale
La guerra dei tulipani è durata oltre due anni. A scatenarla è stata una signora friburghese, che ha avuto l’ardire di tagliare otto fiori nel giardino della sua vicina. Furibonda, quest’ultima si è rivolta alla polizia per denunciare il misfatto, che le ha provocato danni materiali per una ventina di franchi, oltre al dolore per la prematura scomparsa dei suoi tulipani. Gli agenti hanno sottoposto l’accusata a un interrogatorio, cui sono seguiti ben tre tentativi di conciliazione, tutti infruttuosi. La lite tra vicine è così finita in mano al procuratore pubblico, che avrebbe voluto archiviarla senza seguito. Ma i giudici l’hanno sconfessato, con una sentenza di cinque pagine in cui si leggeva tra le altre cose, che la colpa dell’imputata «non poteva essere considerata come minore ». Il procuratore ha dovuto rifare i compiti, con tanto di visita degli agenti sul luogo del crimine per stabilire se i tulipani fossero protetti da una recinzione o meno. Alla fine, l’ascia di guerra è stata sotterrata con una multa di 100 franchi, contro la quale fortunatamente la denunciante non si è opposta, altrimenti il conflitto sarebbe andato ancora avanti.
Questo caso, riportato dalla Sonntagszeitung, è stato raccontato dal procuratore generale friburghese Fabien Gasser durante un recente incontro sul tema del sovraccarico della giustizia. «Lavoriamo con la frustrante sensazione che l’energia spesa in questi casi potrebbe essere più utile in altri casi», ha detto Gasser.
La scelta non manca. Sono oltre 100.000 i casi pendenti in Svizzera, secondo quanto emerso nello scorso mese di aprile a Berna all’assemblea della Conferenza delle direttrici e dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia (CDDGP), del cui comitato fa parte il consigliere di Stato ticinese Norman Gobbi.
Ed è stato proprio Gobbi, in qualità di presidente della Commissione affari giuridici penali della CDDGP, a presentare un primo progetto volto ad analizzare le cause dell’eccessivo carico di lavoro di cui soffrono da tempo le autorità cantonali di perseguimento penale e a proporre misure per migliorare la situazione. Un progetto in seguito adottato dal plenum.
I direttori cantonali di giustizia e polizia ritengono che l’attuale situazione di tensione delle autorità del perseguimento penale nei Cantoni sia «una conseguenza diretta della complicazione nella procedura penale, a 12 anni dell’introduzione del Codice di procedura penale federale (CCP), oltre ai numerosi emendamenti sostanziali fatti al codice penale svizzero (CP)», che hanno reso più complesse le disposizioni. «Nonostante l’attribuzione di nuove risorse all’interno delle autorità del perseguimento penale cantonali, l’attuale organizzazione non permette di affrontare adeguatamente questo fenomeno – secondo i direttori cantonali di giustizia e polizia -; il sistema della catena penale rischia quindi di andare fuori regime nonostante l’aumento di personale, senza guadagnarne in efficienza, poiché le nuove disposizioni di legge non lo permettono».
Per questo motivo, si vogliono ora «raccogliere dati statistici e cifre, nonché opinioni degli operatori del settore, che forniscano un quadro complessivo del carico di lavoro e della situazione lavorativa della polizia, dei ministeri pubblici e dei tribunali». Sarà così possibile effettuare una disanima approfondita delle cause del sovraccarico e di seguito identificare eventuali correttivi e soluzioni.
L’obiettivo è quello di garantire una giustizia veloce ed efficiente. Un obiettivo cui, tra l’altro, avrebbero potuto contribuire anche le due vicine di casa friburghesi se invece di scannarsi per otto tulipani tra aule di giustizia e tribunali fossero andate insieme al più vicino negozio di fiori, avessero acquistato e ripiantato il maltolto e infine avessero brindato alla ritrovata serenità. A.S.
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In Ticino siamo ammalati di «ricorsite»
L’opposizione facile a ogni progetto è ormai la regola – L’ira di un architetto: «Sono arrabbiato»
A Sementina si attende la nuova scuola elementare da vent’anni. Non può partire a causa di un ricorrente. Sempre lo stesso. Che impugna tutte le sue carte. Legittime, di nuovo. Ma debilitanti. Per chi la nuova scuola intende farla, ovviamente. Ma guardando un po’ più in grande anche per le ditte. Che aspettano. Anche se hanno già i contratti. «Noi per fare il nostro progetto a Ronco sopra Ascona ci siamo rivolti a una società importante ma cosa sarebbe successo se l’azienda in questione fosse stata più piccola? Semplice. I suoi dipendenti non avrebbero lavorato per mesi mettendo in grossa difficoltà la ditta e loro stessi», continua Saudino. Che sta aspettando mesi, anni per realizzare un complesso immobiliare contestato come sempre succede dai confinanti. La storia è presto detta. Per arrivare al terreno edificabile Saudino ha una licenza edilizia per scavare una galleria ma i confinanti hanno ricorso al Consiglio di Stato perché a loro dire il rinnovo della stessa – avvenuto a più riprese – non gli è stato comunicato. «Si sono aggrappati a un cavillo», sottolinea l’architetto, sempre più deluso. Perché «in 57 anni di lavoro è la prima volta che mi capita una cosa del genere».
In realtà Saudino è stato fortunato. Perché quasi in ogni Comune ci sono progetti che vanno a rilento. Che sono belli e stupendi sulla carta. Ma si fermano proprio inciampando… sulla carta. Ricorsi, opposizioni. Ai Comuni, al Dipartimento del Territorio, al Consiglio di Stato, al Tribunale amministrativo cantonale. Sono centinaia e centinaia. Ogni anno. Solo il Dipartimento del Territorio, come si scopre dal rendiconto del Consiglio di Stato, nel 2023 ha risposto a 673 ricorsi che lo riguardavano. Tutto questo quando le domande di costruzione non accennano a diminuire. Ma anzi crescono. Si gonfiano. Anno dopo anno. Tanto che l’anno scorso sono state quasi 4mila.
Le ricette di economiesuisse
Arrabbiarsi soltanto però non serve. C’è anche chi, come economiesuisse, l’organizzazione mantello delle imprese svizzere, chiede che le procedure vengano semplificate. Al più presto. Perché la «ricorsite» non è un’abitudine solo ticinese, bensì di tutta la Svizzera. Come sta scoprendo ad esempio anche l’ex campionissimo di tennis, Roger Federer. Che sta costruendo la sua casa dei sogni sul lago di Zurigo. Scontrandosi puntualmente con rimostranze e opposizioni. L’ultima è solo di alcuni giorni fa contro la rimessa per barche. Che Federer vorrebbe realizzare sul lago.
Semplificare le procedure. È questa la visione dell’organizzazione delle imprese svizzere. Semplificazione che dovrebbe iniziare già dal tempo di elaborazione delle domande di costruzione da parte delle autorità. Che dovrebbe essere al massimo di 100 giorni.Questo perché secondo una valutazione della Banca cantonale di Zurigo, in Svizzera occorrono in media 140 giorni per l’approvazione di una domanda di costruzione. Nella città di Zurigo ci vogliono 330 giorni e nel canton Ginevra 500. Ma la corsa ad ostacoli spesso non si conclude con l’ottenimento della licenza edilizia. Economiesuisse lo sa bene. Così come sa che la causa principale delle successive lungaggini sono appunto le opposizioni e i ricorsi. Secondo le stime della Banca cantonale di Zurigo, il 10% dei progetti edilizi approvati – fa notare sempre l’organizzazione mantello delle imprese svizzere – non viene mai realizzato a causa di questo problema. Ecco quindi che per economiesuisse le opposizioni e i ricorsi dovrebbero essere trattati in modo definitivo entro un massimo di 18 mesi.
Ma non è finita. Un’altra richiesta è che i ricorsi dovrebbero essere possibili una sola volta e solo da parte dei diretti interessati. Inoltre, presso le autorità dovrebbe essere definita un’unica persona di contatto competente con potere decisionale e la facoltà di impartire istruzioni. Infine, per rendere la procedura di inoltro di una domanda di costruzione più semplice e veloce, sarebbero anche necessarie procedure puramente digitali senza discontinuità.
Articoli pubblicato nell’edizione di domenica 9 giugno 2024 de La Domenica