Opinione pubblicata nell’edizione di sabato 9 febbraio 2019 del Corriere del Ticino
Le modifiche della Legge federale sulle armi approvate il 28 settembre scorso a Berna dal Parlamento rappresentano uno dei tentativi più evidenti di assecondare il volere di Bruxelles per ottenere ipotetici benefici a favore della Svizzera nei negoziati attualmente in corso. Purtroppo però in questo caso (sarei tentato di scrivere: anche in questo caso) il fine non giustifica i mezzi. Il cambiamento legislativo votato dal Nazionale e dagli Stati tocca in particolare anche la regolamentazione sull’utilizzo del fucile militare a favore di quei cittadini che, terminato il servizio, decidono di continuare a detenere l’arma per uso sportivo. Una pratica che è sempre avvenuta e che viene regolamentata da precise e già restrittive norme, contenute appunto nella Legge federale sulle armi (LArm) del 1999 e nelle relative ordinanze. Oggi si vorrebbe, con procedure che appesantirebbero gravemente la nostra burocrazia, quasi annullare tale possibilità. In nome di che cosa? In nome di una direttiva dell’UE in ottica antiterrorismo, notificata alla Svizzera nel 2017 nell’ambito dell’Accordo di Schengen.
Il referendum lanciato dalla Comunità di interessi del tiro svizzero (CIT) presieduta da Luca Filippini e sostenuto dall’UDC svizzera all’indomani del 28 settembre 2018 è riuscito e quindi saremo chiamati a recarci alle urne. Sarà un’ottima possibilità per affrontare il tema e per approfondire una questione importante: la nostra sicurezza. Senza qui voler anticipare talune argomentazioni, ritengo sia indispensabile subito ribadire come la nostra legislazione nel campo del possesso di armi sia – se non la migliore – tra le migliori in Europa. La legge consente all’autorità di sequestrare l’arma al possessore sprovvisto dei requisiti di legge, mediante l’emanazione di una decisione amministrativa subito esecutiva. Una persona perde i requisiti se dà motivo che possa esporre se stessa o gli altri a pericolo, oppure se è condannata per reati che denotano carattere violento o pericoloso, o per crimini o delitti commessi ripetutamente e iscritti nel casellario giudiziale. Non è necessario che i delitti siano in relazione alle Legge federale sulle armi: possono essere di qualsiasi natura. Tenuto conto che a eventuali ricorsi è tolto l’effetto sospensivo, la decisione di sequestro è immediatamente effettiva. Nella pratica succede che sono gli agenti di polizia a recarsi al domicilio della persona e a procedere al sequestro dell’arma. Le nuove norme servirebbero unicamente ad aumentare la burocrazia con il conseguente appesantimento del carico amministrativo per la nostra polizia, senza peraltro alcun riscontro effettivo dal punto di vista pratico della sicurezza.
Una posizione, quest’ultima, che il Governo ticinese aveva messo in evidenza rispondendo nel 2017 a una prima consultazione sull’approvazione e la trasposizione nel diritto elvetico delle direttive UE sulle armi. Il Consiglio di Stato proprio in questi giorni ha poi inviato a Berna il suo parere circa la revisione parziale dell’ordinanza sulle armi, conseguente alle modifiche legislative dell’autunno scorso. E anche in questo caso si ribadisce che «le misure aggiuntive volute dalla direttiva europea non apportano una plusvalenza concreta allo scopo che quest’ultima si è prefissata, ovvero quello di lottare contro il terrorismo e l’utilizzo abusivo delle armi (…). Le ulteriori e aggravanti misure proposte sono un semplice palliativo e non andranno a colpire i veri obiettivi, bensì le persone che oggigiorno agiscono nella legalità. Le armi da fuoco con le quali vengono perpetrati gli attacchi terroristici sono di regola armi acquisite illegalmente, mentre le restrizioni che si vogliono imporre andrebbero a penalizzare solamente i cittadini che detengono o desiderano detenere armi in modo legale».
Se a livello federale l’UDC ha sostenuto il referendum, anche PPD e PLR hanno ammesso che gli inasprimenti votati a Berna e così richiesti dall’UE non servono a nulla. Nessun attentato in Europa è stato commesso con un’arma acquistata legalmente (ambito in cui agisce la legge che si vuole modificare). Si finisce dunque per costruire un castello burocratico inutile, con il pericolo di togliere tempo ed energie agli agenti di polizia, chiamati invece ad assolvere compiti ben più impegnativi e mirati nella lotta al terrorismo. Insomma, il referendum sulla Legge federale sulle armi e la ripresa – automatica – del diritto europeo ci offre un ottimo test per dimostrare la nostra resilienza alle sirene europeiste.