Accade, ciclicamente, nel mondo della giustizia, che l’operato della polizia e della magistratura sia al centro di domande scomode rivolte all’autorità politica, al Ministero pubblico o all’organo a cui è riservato il potere disciplinare e di sorveglianza sui magistrati e sulle altre persone che svolgono funzioni giudiziarie a tempo parziale, il Consiglio della magistratura. Situazioni imbarazzanti e di disagio (per l’improvvisa inversione dei ruoli) per quanti, al servizio della legge, si trovano, inaspettatamente, catapultati al centro di tali avvenimenti. Puntualmente arrivano le risposte, che non sempre, però, soddisfano tutti gli interroganti (e magari pure i diretti interessati) e che lasciano, inevitabilmente, un senso di frustrazione in coloro che si sono visti mettere, per qualche tempo, «sul banco degli accusati».
Il Dipartimento delle istituzioni ha recentemente replicato, stigmatizzandole, alle accuse di violenza e razzismo nei confronti delle forze dell’ordine che l’associazione «Stop all’ignoranza» aveva formulato in una lettera indirizzata al Governo ed al procuratore generale John Noseda. Quest’ultimo, dal canto suo, assicurando l’intervento della magistratura in caso di abusi, ha spiegato, tra l’altro, che, nel rispetto del segreto istruttorio, non può fornire informazioni in merito ai contenuti ed all’esito dei procedimenti. Il direttore Norman Gobbi ha difeso l’operato di tutti gli agenti, quelli che si comportano correttamente. L’associazione, che tra l’altro chiedeva di conoscere il numero delle indagini aperte contro poliziotti per episodi di razzismo e di abusi nel 2012 ed il numero delle sanzioni comminate, si dice insoddisfatta delle risposte ricevute dal capo del Dipartimento delle istituzioni; sottolinea di aver parlato solo di alcuni agenti interessati alle critiche e di non aver coinvolto l’intero Corpo di polizia nella segnalazione relativa ai presunti abusi.
Il Consiglio della magistratura, invece, ha esaminato, su richiesta dell’Associazione Bel Ticino, i carteggi relativi alle denunce/querele a carico di Giuliano Bignasca per accertare se vi fossero state «trattazioni manchevoli e intempestive» da parte dei procuratori pubblici. Nelle conclusioni, il Consiglio della magistratura «ritiene che non sussistano le premesse per procedere ad accertamenti preliminari o all’apertura di procedimenti disciplinari contro singoli procuratori pubblici». Anche perché, è stato accertato, che non sono stati commessi errori volontari. Il Consiglio della magistratura, infine, invita il Ministero pubblico ticinese a riflettere, per il futuro, per incarti riconducibili allo stesso soggetto, «su eventuali misure di monitoraggio e di coordinazione sul lungo periodo». Altro lavoro per il procuratore generale e per i suoi stretti collaboratori, già alle prese con centinaia di nuovi incarti in entrata e con alcune pratiche datate, che devono essere evase. Inchieste che avevano fatto scalpore qualche anno fa, con arresti in Ticino e, a volte, collegamenti con Italia dove la vicenda penale, in qualche caso, è già stata discussa in tribunale. Un compito da terminare, da non lasciare in sospeso, che potrebbe, forse, dare fiato ad altre domande scomode (e polemiche) questa volta sui tempi lunghi della giustizia e sul principio di celerità violato.
Arrivate le risposte dal Dipartimento delle istituzioni, dalla Procura e dal Consiglio della magistratura, la vita riprende, anzi, il lavoro dei poliziotti e dei magistrati non è mai cessato. In attesa di nuove richieste, inevitabili, sull’operato degli agenti (che a volte segnalano, purtroppo, pure situazioni di disagio interne al Corpo) e dei procuratori pubblici. Il loro resta un lavoro importante, delicato e pericoloso. E lo sanno. Come sanno di essere sempre nel mirino delle polemiche e delle critiche.
di EMANUELE GAGLIARDI
http://www.cdt.ch/commenti-cdt/commento/76719/la-giustizia-sotto-tiro.html