Da 12 anni in Consiglio di Stato e con tanta voglia di andare avanti a dirigere il Dipartimento delle istituzioni.
Anche se si lascia scappare un «mai dire mai».
Abbiamo intervistato Norman Gobbi: la sua azione politica, il suo modo di essere e di porsi.
Iniziamo con un tormentone ormai dimenticato da tutti ma sul quale lei puntava molto. Ricorda la riforma «Giustizia 2018 »? Siamo nel 2023, che fine ha fatto quel progetto? Lo possiamo considerare fallito?
«La riforma delle Autorità di protezione, il cui principio è stato approvato praticamente all’unanimità dal Parlamento e dal 77,5% del Popolo ticinese nonché in tutti i Comuni, rappresenta uno dei più importanti cantieri avviati anche grazie a “Giustizia 2018”. Siamo giunti a proporre una nuova Autorità giudiziaria con tanto di modifica della Costituzione cantonale accettata in modo convinto in votazione popolare lo scorso 30 ottobre, in un ambito molto delicato che tocca soprattutto le persone più fragili della nostra società. Un risultato frutto della condivisione e della partecipazione che il mio Dipartimento con la Divisione della giustizia ha costruito negli anni. In tal senso, gli approfondimenti dei Gruppi di lavoro appositamente costituiti con “Giustizia 2018” hanno fornito tutta una serie di indicazioni che sono state utili per interventi puntuali e per riforme importanti quali appunto quella relativa alle Autorità di protezione. Altre sono in fase di analisi, penso ad esempio alla riorganizzazione del settore della giustizia di pace. Un lavoro continuo, quindi, per una Giustizia e delle Istituzioni in evoluzione con l’obiettivo di rispondere in modo efficace ai nuovi bisogni della cittadinanza».
A proposito di sicurezza: oggi in Ticino abbiamo meno rapine e scippi di un tempo (sono cambiate le abitudini e si gira con meno contante). Il Ticino con Norman Gobbi è più sicuro?
«Lo dicono i dati: meno furti, meno rapine, meno incidenti della circolazione. Ma poi c’è una criminalità che trova sempre nuovi canali per delinquere. Penso alla criminalità internazionale, che spesso si muove sfruttando le nuove tecnologie. Il sentimento soggettivo di sicurezza in Ticino negli ultimi 10 anni è migliorato, grazie al lavoro delle Polizie. Ma non intendo, come ho dimostrato, sedermi sugli allori. Si deve sempre migliorare, sia in ambito di prevenzione, sia in ambito di repressione».
Un Cantone sicuro ma anche molto presidiato, specie sulle strade. Ma questa è prevenzione o repressione?
«Ricordo le critiche che si muovevano alla Polizia più di dieci anni fa: troppa gente in ufficio e troppo poche pattuglie sulle strade. Ero anch’io in qualità di deputato – tra coloro che condividevano questa opinione. Detto fatto: dalla mia elezione diverse cose sono cambiate e i risultati, come detto, ci sono. I cittadini e le cittadine si sentono sicuri e quindi anche più liberi quando sanno di essere protetti senza oppressione. La presenza delle pattuglie infonde questo sentimento di protezione e permette un rapido intervento in caso di bisogno».
Ci sono poi sempre i radar, amati da chi deve fare quadrare i conti pubblici e odiati da chi ne subisce l’azione sempre più invasiva. Gobbi oggi è amico o nemico dei radar?
«Gobbi sa che l’utilizzo dei radar non serve per fare cassetta, come semplicisticamente e demagogicamente si vuol lasciare intendere. Abbiamo condotto un monitoraggio a seguito di numerose segnalazioni da parte di cittadini e rappresentanti politici comunali in merito a controlli ritenuti “vessatori”. Tale analisi ha fatto emergere come la Polizia cantonale esegue circa un controllo all’anno per agente di gendarmeria, mentre le polizie comunali ne eseguono almeno tre per agente uniformato. Questi dati suggeriscono un utilizzo talvolta improprio di questi strumenti. È anche per questo motivo che ho scritto ai Municipi interessati per sottoporre il problema, con l’auspicio che attraverso il gruppo di lavoro “Polizia ticinese” si possa elaborare un insieme di misure preventive di controllo della velocità, che non si basi unicamente sui radar».
Sul finire di questa legislatura sta tornando in auge il tema della polizia unica. Lei da che parte sta? Alla fine questo concetto un po’ semplicistico non è fondamentalmente superato?
«Non è superato nella misura in cui in buona fede ci si interroga su quale possa essere la miglior soluzione per il Ticino. Per questo vedo di buon occhio la discussione politica in atto all’interno del Parlamento sulla mozione Ghisletta. In un’ottica stretta di ottimizzazione di risorse e finanze, una sola polizia sarebbe sicuramente più efficiente; occorre però tener conto anche delle particolarità ticinesi e dell’autonomia dei Comuni, valore altrettanto importante per me. Quanto facciamo oggi mi sembra porti a risultati soddisfacenti. Domani vedremo se ciò basterà,oppure se saremo chiamati a imboccare una strada con meno curve e meno in salita, obbligati anche da un uso ancor più parsimonioso dei soldi dei cittadini».
Rapporto Cantone- Comuni: il tavolo, aperto da anni, pare un po’ la montagna pronta a partorire il topolino. Ha ancora senso andare avanti?
« Se si riferisce a Ticino2020 allora posso dire che fermarsi ora quando siamo vicini al traguardo dopo innumerevoli sforzi sarebbe da incoscienti. Sul piatto porteremo qualcosa, a brevissimo: non un menu completo, ma pur sempre una chiara regolazione dei flussi finanziari e delle competenze su vari fronti. Se invece si riferisce ai rapporti a 360 gradi tra Cantone e Comuni, allora qui abbiamo fatto moltissimo. Grazie alle mie visite assieme ai responsabili della Sezione degli enti locali in ogni Comune, grazie ai Simposi Cantone- Comuni ( il 2 febbraio a Bellinzona si terrà il quarto Simposio), grazie alla Piattaforma Cantone-Comuni il dialogo è costante. Ciò aiuta a individuare soluzioni. Più in particolare il Dipartimento che dirigo ha avviato una serie di progetti (“ Buon Governo”, “ Democrazia viva”, “Responsabilità sociale dei Comuni”) che vogliono migliorare la partecipazione della cittadinanza, la conduzione e la gestione del Comune. Il tutto porterà nel prossimo quadriennio a proporre anche una revisione totale della Legge organica comunale ( LOC), ammodernandola e riconoscendo che i Comuni ticinesi sono differentemente strutturati tra loro. Perché Comuni più forti fanno un Cantone più forte ».
Da sinistra Gobbi viene considerato un po’ l’orco che fustiga coloro che chiedono un permesso di diversa natura, persone che cercano una mano tesa. Insomma, viene dipinto come un uomo senza cuore. Come risponde?
«È un’immagine strumentalizzata, questa dell’uomo senza cuore. Ci convivo da 12 anni. Il Dipartimento che dirigo influenza questa “visione”, perché siamo chiamati a far rispettare le leggi in ogni contesto. Anche in quello della politica d’asilo, definita da una legge federale voluta dal Popolo».
È in carica dal 2011, ma non intende mollare. L’entusiasmo per andare avanti (almeno?) altri 4 anni da dove arriva?
«Arriva dallo spirito di servizio nei confronti delle cittadine e dei cittadini ticinesi. Arriva dall’amore verso questo splendido Ticino, che vorrei sempre più protetto, sempre più valorizzato e sempre più svizzero. Arriva poi dalla volontà di difendere le nostre tradizioni, la nostra identità. E poi dal desiderio di portare a termine alcune realizzazioni che oggi sono sulla rampa di lancio».
Cambiare dipartimento dopo 12 anni. Ci ha mai pensato?
«Come tutti vedono a me piace questo Dipartimento. Siamo come la fanteria per un esercito e negli ultimi 3 anni siamo stati in prima fila a gestire anche le crisi più impegnative, COVID docet. Come detto ci sono ancora molti progetti – legati ai Comuni, legati alla Giustizia oppure alla Polizia e alle collaborazioni nella protezione della popolazione – che vorrei portare avanti. Mai dire mai, però… Cominciamo a essere rieletti il 2 aprile».
Leghista e tesserato UDC: come vede il duello tra Claudio Zali e Piero Marchesi?
«Aperto, con il mio cuore che batte per la continuità».
Cosa ne dice dello scivolone con quel «coglionazzi» espresso da Paolo Pamini? Come dice talvolta lei «ribollono le busecche»?
«Per me è già archiviato. Ognuno faccia le sue riflessioni anche se ricamarci troppo sopra mi sembra un’inutile esagerazione ».
Lei e Manuele Bertoli siete molto differenti. Ma c’è qualcosa che le mancherà del collega che in aprile lascerà il Governo?
«Siamo differenti, ma ugualmente cocciuti. Ribadisco: se dovessi essere rieletto mi mancherà la sua persona; quando si lavora assieme per 12 anni si stabiliscono rapporti personali stretti, al di là delle differenze di vedute puntuali e spesso anche accese. Spero che troveremo il tempo per nuovi incontri, più rilassati davanti a un buon piatto di risotto».
Intervista pubblicata nell’edizione di mercoledì 25 gennaio 2023 del Corriere del Ticino