La strage ad opera di due estremisti islamici avvenuta poche ore fa a Parigi risuona ancora nelle nostre orecchie e le immagini della brutalità offuscano ancora il nostro sguardo, spesso disattento, ma in questo caso scosso dalla terribile imprevedibilità dell’accadimento. Un evento che scuote l’Europa, esattamente come lo fece il massacro del 1972 alle Olimpiadi di Monaco di Baviera ad opera di estremisti palestinesi. Massacri molto simili poiché compiuti laddove il conflitto armato e l’attacco terroristico sono realtà sconosciute, laddove libertà e confronto sono protagonisti, senza che alcuno spazio sia lasciato a odio e armi.
Per la loro brutalità e imprevedibilità, eventi di questo genere sollevano molti interrogativi su quali misure adottare. Ad esempio, benché l’attività terroristica fosse già presente nella Germania di quei tempi (penso in particolare alla Rote Armee Fraktion), fu proprio dopo l’attentato di Monaco che la Repubblica federale tedesca si dotò di unità anti-terrorismo. Una simile riflessione ebbe luogo pure dopo l’11 settembre 2001, quando il terrorismo di matrice fondamentalista islamica divenne un nuovo elemento nel “radar” dei rischi della nostra società. L’attacco che colpì tutti noi con il crollo delle Torri Gemelle non fu un fatto isolato, ma precedette altri attacchi in luoghi pubblici di città europee (Madrid nel 2004 e Londra nel 2005), inducendo tutti gli Stati a potenziare il sistema di intelligence e di controllo, così da impedire il ripetersi di questi nefasti avvenimenti.
Con l’arrivo dell’ISIS nel Medio Oriente, la brutalità è esplosa violentemente (decapitazioni videofilmate, massacri di massa di civili) e il rischio potenziale è aumentato. Il nuovo pericolo è quello dei “lupi solitari”. Brutali e indipendenti nella loro azione terroristica, essi agiscono individualmente in ogni luogo possibile. Il fatto che la quinta potenza strategico-militare sia stata colpita nel suo cuore – Parigi – dimostra come anche le misure sin qui adottate non permettono di garantire la sicurezza totale o il rischio zero a fronte di questi individui. La Francia è infatti tra i Paesi più strutturati a livello di servizi segreti, difesa e forze dell’ordine, eppure è stata colta di sorpresa, straziata dalla perdita di 12 vite umane.
Quindi, la strage era evitabile? Probabilmente no, ma se riflettiamo sul fatto che questi due giovani autori dell’attacco sanguinario si siano radicalizzati entro le mura di una prigione mentre scontavano una pena per reati minori, la situazione assume contorni inquietanti. In effetti, tutto ciò chiama in causa anche lo Stato francese che avrebbe potuto evitare questa strage non con l’intelligence o le forze d’intervento, bensì con un controllo su chi visita le prigioni sotto le vesti di coloro che dovrebbero portare parole di fede, conforto e speranza, ma che invece ha portato odio, sconforto e insicurezza.
Questi ultimi elementi in Ticino, così come in altri Cantoni, non vengono sottovalutati; anzi, viene prestata grande attenzione affinché le strutture carcerarie rimangano anche luoghi di risocializzazione e non diventino fucine di nuova, imprevedibile e terribile violenza. Per la sicurezza di tutti.
Norman Gobbi, CdS