Conta più un sindaco o un consigliere di Stato? L’interrogativo è del tutto attuale se, a quanto sembra, Mario Branda non concorrerà alle prossime elezioni cantonali per continuare a concentrarsi sulla sua Città. Ed è significativo che un funzionario di grande esperienza come Mauro Dell’Ambrogio, attivo nel pubblico e nel privato su su fino ai più alti gradi dell’amministrazione federale, abbia sempre ammesso di avere trovato le maggiori soddisfazioni nelle tre legislature da sindaco di Giubiasco. Non sono mancati naturalmente sindaci poi divenuti consiglieri di Stato – due nell’attuale conformazione, Vitta e De Rosa – ma rimane rarissimo il percorso inverso. Prima di Marco Borradori il nome più celebre fu quello di Camillo Olgiati, a Palazzo delle Orsoline per un solo anno nel 1917 e poi lungamente sindaco del suo Comune, Giubiasco, tra il 1922 e il 1940. Per questa ragione quanto successo in riva al Ceresio nell’aprile del 2013 continua a sembrarmi un evento quasi epico, tra i maggiori della nostra storia politica recente.
Ci volevano personalità e carisma per entrare da vincente in un contesto che da quasi due secoli (1830) aveva conosciuto solo maggioranze liberali. La politica cittadina era sempre stata d’altronde questione per pochi nomi noti – il record è dei Battaglini di Cagiallo – con sequenze cronologiche da Guinness dei primati: 32 anni per Giacomo Luvini-Perseghini, 29 per Giorgio Giudici, 20 per Paride Pelli, 14 per Carlo Frasca.
Subentrando a Giudici nella primavera del 2013 Borradori ereditò una Città che aveva una chiara visione su alcuni sviluppi futuri (i cosiddetti «poli »), un’università ben avviata e un nascente centro culturale. Si trovò però anche sul tavolo alcuni dossier scottanti e soprattutto una situazione finanziaria delicatissima dopo la crisi del 2009-12.
Il pareggio di bilancio raggiunto in pochi anni, non senza tagli dolorosi, è stato forse il risultato più importante, anche perché fu conquistato con un grande lavoro di squadra. L’infelice destino dell’aeroporto, invece, il punto più basso: ma nel bene come nel male si trattò sempre di responsabilità condivise.
Se Marco Borradori è riuscito a lasciare il segno nei suoi pochi anni è stato però soprattutto per l’interpretazione che ha saputo offrire del ruolo di primo uomo dell’amministrazione comunale: un primus inter pares che è stato un sindaco del «come» più che del «cosa», perché sempre ha voluto mettere al centro il rapporto diretto e cordiale con i cittadini. La rottura dell’idillio rappresentata dall’infelice (dai due lati) questione dell’ex Macello deve essere perciò letta anche in quest’ottica, quella di un politico che aveva fatto del consenso la sua principale cifra distintiva.
Ognuno potrà fornire in proposito una sua testimonianza. La mia non è priva di un certo imbarazzo. Negli anni devo avergli scritto decine di discorsi, poco o nulla utilizzati perché non gli mancava la capacità di parlare a braccio in pubblico.
Un giorno lo mandai allo sbaraglio a una trasmissione RSI con dati poco accurati sulla storia di Villa Ciani, e incalzato da un interlocutore capace finì per inciampare in qualche punto. A cose fatte mi telefonò, ma non ebbe che parole di ringraziamento e nemmeno una di biasimo. Troppo signore per mettere il dito nella piaga.
Una cortesia innata, la sua, che ha caratterizzato tutta la sua lunga carriera politica, dall’entrata in Municipio e in Consiglio nazionale nel 1992 ai quattordici anni quale responsabile del Dipartimento del territorio. Ancora oggi a Bellinzona una signora di mia conoscenza è solita vantarsi che quando passa davanti al governo i consiglieri di Stato attraversano la strada per salutarla. Nonostante la simpatia della signora, credo sia più probabile il contrario. In un solo caso non ci sono dubbi su chi avrebbe fatto il primo passo. La strada che Borradori ha attraversato l’11 agosto 2021 non può purtroppo essere percorsa a ritroso. Siamo noi, fermi sul ciglio dei fiume, a doverlo salutare da lontano. Ciao Marco.