Articolo pubblicato nell’edizione di sabato 29 settembre 2018 del Corriere del Ticino
Il governatore militare della capitale francese Bruno Le Ray ha ripercorso gli attentati del 13 novembre 2015 Ospite a Bellinzona, il generale ha difeso i suoi uomini: «Al Bataclan nessuno ci ordinò di fare irruzione»
È in carica dal 1. agosto 2015 e, dopo nemmeno quattro mesi dalla sua entrata in funzione, ha dovuto fare i conti con la barbarie dei fondamentalisti islamici.
Il governatore militare di Parigi, Generale di corpo d’armata Bruno Le Ray ricorda bene la notte del terrore tra il 13 e il 14 novembre, quando una serie di attentati colpì al cuore la capitale francese causando oltre cento vittime.
Le Ray ieri era l’ospite d’onore all’incontro tra il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi e gli ufficiali e sottufficiali professionisti.
E il dispositivo antiterrorismo «Sentinelle», creato a seguito dell’assalto alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015, è stato al centro del suo intervento. «Un’operazione inedita, che per contratto può far capo fino a 10.000 uomini» ha rilevato il generale francese ponendo l’accento sulle tre parole chiave del dispositivo: «Proteggere, dissuadere e rassicurare». Questo gruppo operativo, è giusto ricordarlo, è stato però criticato duramente dalla commissione parlamentare d’inchiesta sugli attacchi parigini per essere stato sorpreso dagli attentatori e soprattutto per il mancato intervento attivo al Teatro Bataclan, dove il terrorismo di matrice islamica fece 90 morti. «Mi chiedete del Bataclan? Sì, l’ho vissuto e sono anche stato sentito dalla commissione d’inchiesta. Quella sera ero allo Stade de France, nei pressi del quale è scoppiata la prima bomba. E miei soldati, in quei frangenti, hanno fatto tutto quanto gli agenti della polizia hanno richiesto. Né più né meno». Sulla mancata incursione all’interno del teatro Le Ray ha quindi aggiunto: «Nessuno ha dato e nemmeno pensato un ordine in questo senso. I miei soldati erano in misura di neutralizzare i terroristi qualora fossero usciti dallo stabile. Purtroppo non è stato il caso. Brutalmente, non c’è stato nulla a cui sparare. Detto questo il 13 novembre le forze armate hanno compiuto molteplici missioni, in particolare a supporto della polizia». Impossibile, ha ad ogni modo riconosciuto il generale, attendersi un evento di tale portata. «Non avevamo mai vissuto una cosa simile, con attacchi simultanei in più luoghi. Una situazione apocalittica».
Ospiti nell’aula del Gran Consiglio, gli ufficiali e i sottufficiali hanno sollecitato a più riprese Le Ray sugli attacchi di Parigi e sulle difficoltà operative in un simile contesto. «Di fronte a una fattispecie così straordinaria, quella sera è stato innanzitutto complicato contare su una chiara linea di comando».
Da quel giorno Parigi ha cambiato volto. «Si pensi che nel giro di 24 ore sono stati mobilitati sulla città 1.000 uomini in più». Ma a mutare radicalmente è stata anche la vita dei soldati impiegati nel dispositivo Sentinelle. «Nel 2016 questi uomini sono stati lontani da casa per 200-250 giorni. Paradossalmente le forze militari hanno smesso di esercitarsi per convogliare su Parigi e per affrontare la minaccia terroristica». E la popolazione, ha rilevato Le Ray, ha apprezzato. «Stando a un sondaggio dello scorso marzo il 78% dei francesi approva l’operazione Sentinelle». La sfida «che ci spinge oggi a interrogarci – ha concluso il generale – è come adattare il dispositivo a un contesto mutato in pochi anni».
Gobbi e i dossier strategici
Attento spettatore all’intervento di Le Ray, il direttore delle Istituzioni Gobbi in apertura aveva per contro fatto il punto su alcuni importanti cantieri per l’Esercito: dal futuro poligono di tiro coperto del Monte Ceneri – che si mira a mettere in funzione dal 2025 dopo un investimento di 52 milioni» – ai comparti dei Saleggi e di Pollegio per i quali il Cantone ha trattato e sta trattando con Armasuisse. «Un dossier, quest’ultimo, strategico poiché finalizzato a degli investimenti logistici a sud del San Gottardo, penso in particolare a delle nuove caserme» ha spiegato. E se sul piano politico Gobbi ha presentato il progetto di revisione della legge federale sul servizio civile elaborato dalla Conferenza governativa per gli affari militari, guardando al 2017 ha ricordato gli oltre 3.000 militari della «piramide italofona» dell’Esercito: le truppe ticinesi di fanteria (bat fant mont 30), artiglieria (gr art 49), salvataggio (bat salv 3) e difesa contraerea (gr DCA 32). «Ma soprattutto, da quando esiste l’esercito moderno, mai come nel 2018 è importante la presenza di italofoni con una stella sulla spalla e alla testa dei centri di competenza dell’esercito» ha infine sottolineato Gobbi.