Discorso pronunciato dal Consigliere di Stato Norman Gobbi in occasione della Giornata della Memoria | Il ricordo nella musica e nelle parole
Egregi signori,
Gentili signore,
Vi porgo il mio saluto a nome del Consiglio di Stato e del delegato per l’integrazione Attilio Cometta. È con grande piacere che partecipo a questa serata dedicata alla Memoria, un momento ufficiale che ci permette di ricordare le vittime della Shoah e di tutti i crimini contro l’umanità, di ogni forma di discriminazione, di sopruso, di violazione dei Diritti dell’Uomo. Quest’ultimi, i diritti dell’uomo, sono una conquista che non è mai definitiva e attorno ai quali la nostra memoria e il nostro impegno civile non possono concedersi pause.
Un secolo prima della Seconda Guerra Mondiale, Giuseppe Verdi scrisse il Nabucco: un’opera tra le più conosciute del compositore, soprattutto per il Coro di schiavi ebrei, che questa sera abbiamo il piacere di ascoltare interpretato dalla German Radio Symphony Orchestra, dal Misgav HaGalil Choir e dal Zamir Chor Bayreuth.
“Va’ pensiero” è il celebre inizio del coro degli ebrei prigionieri in Babilonia, che ricordano con nostalgia e dolore la patria perduta. La musica ci trasporta così nel sentimento di un popolo sopraffatto dalla violenza e dalla prepotenza. Verdi ci racconta indirettamente anche dell’Italia di quegli anni, in parte soggiogata dal dominio dell’Impero Austriaco. Il coro si trasforma così in un canto universale di tutte le patrie oppresse, un racconto che ancora oggi ci coinvolge e ci rende partecipi. In questa giornata non potevamo trovare un modo migliore che la musica, per farci trasportare nel ricordo.
La memoria, in ogni sua forma – dalla storia al racconto, dall’arte visiva alla musica – è importante poiché ci permette di non cadere ancora nell’errore. La memoria non è fine a se stessa. Ci permette di comprendere fino in fondo la realtà che ci circonda, analizzandola in relazione ai fatti che storicamente conosciamo.
Proprio per questo è importante mantenere viva la memoria storica e, ancor di più, umana. Il rischio che si affievolisca di anno in anno dev’essere scongiurato grazie all’educazione delle nuove generazioni. Testimonianze come quella di Federica Spitzer, portata avanti dall’omonima fondazione, risulta essenziale per comprendere fino in fondo tragedie come quella dell’Olocausto. Come la musica, la testimonianza scritta o diretta permette di comprendere profondamente il sentimento di chi ha vissuto in prima persona l’orrore dei campi di concentramento e di sterminio. Tramite il racconto è possibile percepire le diverse sfumature che compongono la storia di ogni persona, ogni essere umano al quale è stata negata la sua dignità. Attraverso la sua quotidianità, comprendiamo come – a poco a poco – il veleno della violenza e dell’oppressione si sia instaurato nella vita di ogni oppresso.
La consapevolezza storica è una questione chiave che va affrontata da giovani, a casa
come a scuola, per costruire già da ragazzi una responsabilità verso la nostra società, e
una volontà di non ricadere ancora una volta negli stessi meccanismi mentali, politici e
sociali. Il Premio Spitzer che viene consegnato stasera, è un esempio di come sia
possibile avvicinarsi a una realtà storica come quella dell’Olocausto in maniera sempre
nuova e attuale, con approcci più didattici o più artistici, che possono suscitare l’interesse dei più giovani e avvicinarli a temi impegnativi ma essenziali come quello della Shoah. È importante che i giovani conoscano e comprendano i fatti, per non essere indifferenti verso il male, per far sì che in futuro non si ripetano certi orrori. Gli anticorpi verso i regimi totalitari sono ancor più importanti ora che vi sono sempre meno testimoni diretti di quegli anni. Infatti, il rischio è che le nuove generazioni diano per scontato la sparizione definitiva di quelle dinamiche nocive che spingono i popoli verso orizzonti pericolosamente bui.
Questa sensibilizzazione non avviene però inflazionando gli epiteti “fascista”, “dittatoriale” eccetera, come purtroppo spesso succede. C’è una malsana abitudine di utilizzare con troppa facilità e leggerezza – soprattutto nel dibattito politico – questi termini, banalizzandoli. Uno svuotamento di significato che non fa bene alla politica e ancor meno alla Memoria. Se con troppa facilità si additano orchi e attentatori della democrazia, si induce al meccanismo dell’“al lupo al lupo!”, il cui esito è noto.
Il mio appello è quindi di affrontare il passato e il presente con razionalità ed equilibrio.
Identificando le paure senza banalizzarle, assicurando l’inevitabile incontro fra culture
diverse senza ignorarne le differenze, chiarendo ed esigendo il rispetto della convivenza
civile, democratica e liberale da chiunque; il tutto senza eccezioni.
Solo così si permette un giudizio reale sul momento storico che stiamo vivendo, nuovamente scandito – rispetto agli ultimi decenni – da crescenti incertezze economiche, sociali e politiche. Occorre una lucidità di giudizio che permetta di intervenire concretamente sui problemi vissuti quotidianamente dai cittadini, senza tuttavia cadere nella tentazione di soluzioni estreme e liberticide.
Questa Giornata è una dedica alla sofferenza dei popoli oppressi, ma è anche una
giornata che deve risvegliare in noi la volontà di lottare contro tutte le tirannie, le dittature, le ingiustizie e le paure che opprimono e negano la libertà di ogni essere umano. Non dobbiamo mai smettere di condannare le violenze del passato e di lottare contro quelle attuali, fisiche o verbali; dobbiamo impegnarci quotidianamente a favore della nostra società e della dignità di ogni individuo, pur sempre nello stato di diritto.
Norman Gobbi
Consigliere di Stato e
Direttore del Dipartimento delle istituzioni